Infermiera violentata a Napoli: «Il senegalese mi ha stuprata e poi ha tentato di lavarmi»

Infermiera violentata a Napoli: «Il senegalese mi ha stuprata e poi ha tentato di lavarmi»
«Sono una infermiera e sono abituata da anni a confrontarmi con situazioni di emergenza, situazioni di pericolo per me e per altre persone. Posso solo dire, dopo essermi...

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«Sono una infermiera e sono abituata da anni a confrontarmi con situazioni di emergenza, situazioni di pericolo per me e per altre persone. Posso solo dire, dopo essermi difesa per 45 minuti, che quell'uomo era lucido e non aveva alterazioni di sorta, non mi sembrava ubriaco o drogato». Ascoltata da remoto l'infermiera «covid» vittima di violenza sessuale la scorsa settimana all'interno del parcheggio di Napoli park in corso Arnaldo Lucci.


In una stanza della Questura, la donna ha ribadito a mente fredda quanto aveva dichiarato nel corso della prima denuncia, aggiungendo particolari sull'esperienza che le è toccata viva. Dall'altra parte del monitor, il pm Cristina Curatoli, magistrato in forza al pool reati contro le fasce deboli guidato dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone, titolare delle indagini che hanno condotto in cella un cittadino senegalese ritenuto responsabile di violenza sessuale.

C'è un tassello in più che viene aggiunto nel fascicolo, nel tentativo di mettere a fuoco la condotta dell'indagato. La donna ha infatti spiegato di aver avuto la percezione del tentativo del bruto di portarla via, di farsi seguire, per rendere completo lo stato di assoggettamento fisico e psicologico.

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Una brutta storia nel corso della quale la donna è assistita, da un punto di vista legale, dall'avvocato napoletano Fulvio Pasanisi, in un'inchiesta che punta a fare chiarezza anche sulla vita dell'aggressore.

Da quanto tempo era in Italia? Quale attività svolgeva? Aveva già commesso reati di questo tipo? Ma torniamo a quei 45 minuti in cui si è consumata la violenza sessuale. Un caso riportato dal Roma, poi approfondito da Repubblica, che ha intervistato la donna vittima dell'aggressione. Sono le 14.15 dello scorso 3 maggio, quando la donna ha da poco cessato il suo turno di infermiera in un ospedale cittadino. Stanca ma in prima linea nella frontiera dell'assistenza Covid, la donna si reca alla fermata del bus, per fare ritorno ad Avellino. Unico mezzo disponibile, dal momento che lo scorso tre maggio c'erano ancora in vigore una serie di paletti che rendevano impossibile per i parenti spostarsi da un capoluogo all'altro. Ed è alla luce del sole, in una città resa ancora semideserta dal lockdown che si verifica la violenza. La donna si difende e a nulla serve chiedere aiuto a un'altra donna che le passa accanto, inquadra la scena, per poi allontanarsi senza battere ciglio. Parole di disperazione da parte della vittima. «Aiutami chiama polizia e carabinieri, sei anche tu una donna, fai qualcosa».

Parole al vento, che cadono nell'indifferenza, mentre il pressing dell'uomo diventa asfissiante. E sono le immagini della telecamera a confermare il racconto della donna e a tenere in cella il cittadino senegalese. Jeans e maglietta, abbigliamento per nulla appariscente, atteggiamento stanco e dimesso dopo una giornata di lavoro, la donna prova anche a raccontare al suo aggressore di essere in stato interessante, di essere incinta, implorandolo di non farle perdere il bambino.

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Inchiesta per violenza sessuale, arresti convalidati dal giudice, si scava nel passato del cittadino senegalese. 


Obiettivo è capire se avesse preso di mira l'infermiera, magari seguendola sulla strada del rientro a casa, ma anche cercare di ricostruire la rete dei suoi contatti in città. Una esigenza investigativa che nasce da un'esigenza in particolare, sempre sulla scorta da quanto dichiarato dalla donna: l'ossessione da parte dell'uomo di «lavare» o di «purificare» la vittima, come se si trattasse di una missione religiosa.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino