«Ok: il dialetto è giusto», ecco il vocabolario del dialetto napoletano

«Ok: il dialetto è giusto», ecco il vocabolario del dialetto napoletano
Ci sono voluti sei anni di lavoro per arrivare alla pubblicazione integrale del Vocabolario del dialetto napoletano, un'opera-kolossal di quattro volumi e tremila pagine edita...

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Ci sono voluti sei anni di lavoro per arrivare alla pubblicazione integrale del Vocabolario del dialetto napoletano, un'opera-kolossal di quattro volumi e tremila pagine edita dall'Accademia della Crusca (euro 130). L'autore è Emmanuele Rocco, vissuto nell'Ottocento. I primi due tomi sono stati pubblicati vivo l'autore, i secondi sono inediti. Chiurazzi, l'editore dell'epoca, aveva interrotto la pubblicazione alla lettera «effe» per la morte dell'autore. Gli eredi avevano conservato le carte delle altre pagine, cedute all'Accademia nel 1941, e solo adesso rese disponibili insieme all'anastatica del rarissimo primo tomo. Un altro tomo è di note e apparati critici. L'opera è stata curata dallo storico della lingua Antonio Vinciguerra, docente a Siena e Firenze.


Professore Vinciguerra, perché è così importante questo vocabolario?
«Perché rappresenta il primo vero tentativo di realizzare un dizionario storico del dialetto napoletano, non un vocabolario di quelli che servivano semplicemente a tradurre i termini napoletani con opportuni termini italiani».

Quali le più importanti novità?
«È un dizionario pensato per raccogliere tutto il lessico partenopeo, non solo quello dell'uso contemporaneo dell'autore, ma anche quello che lui ricavava dai testi letterari in lingua, dai grandi classici come Basile e Cortese agli autori del teatro del Settecento, o le cronache del Cinquecento».

Un'operazione di grande portata.
«Ogni voce è corredata di tutte le citazioni dei circa cinquecento testi consultati e inglobati in quest'opera. Poi c'è il significato, l'etimologia, la storia, le curiosità folcloristica specie su certe espressioni e modi di dire».
 
Ci fa un esempio di qualche parola?
«Guappo. Si diffonde nel Seicento con i vari significati ripresi dallo spagnolo, anche diversi. Significa valoroso, bravo, ardito, coraggioso, ma anche smargiasso, gradasso, uno che davanti a una prova di valore si avvilisce e fugge. In certo casi indica un uomo prestante, elegante. Infine, oggi, questo napoletanismo è sopravvissuto, entrando anche in italiano, nel significato relativo solo ai criminali».

Un altro esempio?
«Scippo. Rocco registra che nel secolo in cui vive, l'Ottocento, sta indicando non più solo il graffio. Scrive: di recente dicesi del furto che si fa strappando con violenza orologio, catenella, orecchini e altri giojelli».

Qualche termine particolarmente suggestivo?
«Mirancielo: l'atto di mangiare una manata di maccheroni facendoli entrare in bocca dalla parte pendente e più bassa dopo averli sollevati in alto. Un lemma che è un poema concentrato. Un altro termine che rende bene l'idea anche per i suoni evocati è torceturo, fazzoletto o altro panno attorcigliato con un nodo all'estremità per uso di percuotere. Il secutamesse è un prete che va a caccia di elemosine per messe».

Un epiteto ingiurioso?
«Strunzallerta, chi non ha di uomo altro che lo stare ritto sui piedi».

Il napoletano è lingua o dialetto?

«È un dialetto a tutti gli effetti, con un uso geografico ristretto. Nobile, suggestivo, melodioso, ma sempre dialetto è. Quando qualcuno scriverà un trattato di fisica in napoletano allora cambierò idea. I primi e più grandi estimatori dell'italiano sono stati Vico e Sannazaro. Napoli è sempre stata una città linguisticamente molto italiana». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino