La mamma di Tiziana Cantone: inchiesta nata male, bisognava indagare per omicidio

La mamma di Tiziana Cantone: inchiesta nata male, bisognava indagare per omicidio
«Era un'inchiesta iniziata male fin all'inizio, bisognava indagare per il reato di omicidio, non per induzione al suicidio perché chi ha diffuso i video sul...

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«Era un'inchiesta iniziata male fin all'inizio, bisognava indagare per il reato di omicidio, non per induzione al suicidio perché chi ha diffuso i video sul web ha ucciso mia figlia, la mia unica figlia». Duro il commento della madre di Tiziana Cantone, Maria Teresa Giglio, che domani sarà in prima fila in chiesa per partecipare alla messa in ricordo di Tiziana, a Napoli, nella chiesa di Santa Maria della Consolazione nel quartiere Posillipo. Dal tono della voce sembra decisa ad andare avanti, a non arrendersi, a procedere nella faticosa e disperata battaglia legale per trascinare in Tribunale i colossi del web, i motori di ricerca e i siti che hanno, con il loro silenzio, permesso la moltiplicazione delle condivisioni in rete dei filmati con Tiziana. Uno stillicidio diffamante durato mesi, anni. Ma Maria Teresa Giglio si scioglie poi in un pianto.

Un'altra archiviazione. Un'altra sconfitta?
«Ormai non ci credo più. Ci dicono di denunciare e Tiziana lo ha fatto. Ci dicono di fare i nomi e mia figlia li ha messi nero su bianco nella sua prima denuncia in Procura a Napoli. Anche davanti alla Polizia Postale. Cos'altro doveva fare? Io ho perso il bene più grande che la vita mi ha donato, mia figlia. Tiziana era una brava ragazza, di sani principi. Sono credente e ho provato a salvarla anche con la preghiera. Dopo la sentenza che la condannava al pagamento delle spese, però, era diventata un'altra persona. Era arrabbiata. Il suo viso era simile a quello di coloro che hanno smesso di lottare. Lei li ha visti mai? Io ho visto quello di mia figlia».
L'indagine, la terza indagine, si è chiusa con nessun nome nel registro degli indagati. Lei aveva puntato il dito sull'ex fidanzato. È ancora di questa idea?
«So soltanto che quella relazione era malata, Tiziana era diventata diversa da quando si era messa con Sergio. Di certo, parlando con il suo precedente ragazzo che avevo conosciuto, prima di Sergio, viene a galla un ritratto della vera Tiziana: una ragazza come tante che amava la vita. Non sposò lui solo perché probabilmente non era pronta per un passo importante come il matrimonio. Quando incontrò Sergio andò via e me la ritrovai, qualche mese dopo, a casa distrutta, con quei video che intanto circolavano. E lei che veniva indicata mentre camminava anche per strada. Succedeva spesso. La gente non capisce, a volte è malvagia. Se devo essere sincera, però, l'indagine della Procura di Napoli nord ha scavato a fondo, diversamente all'atteggiamento dell'ufficio inquirente di Napoli. Il procuratore Francesco Greco ha fatto di tutto per arrivare alla verità, ma l'istigazione al suicidio è una condotta difficilissima da individuare. Lo so».
Ma c'è ancora il processo civile da portare avanti?
«Sì, certo. E c'è la risposta del Garante della Privacy che stiamo aspettando. Le regole sul web devono cambiare, coloro che diffamano devono pagare multe salatissime. La modifica della legge va fatta. Io mi batterò nel nome di mia figlia per evitare altri suicidi, altri omicidi del web».
E poi c'è l'associazione...
«Con l'avvocato Romina Falace stiamo creando una rete legale capace di proteggere le persone che vengono diffamate e uccise via internet. Spero di poter aiutare altri genitori, i quali non devono colpevolizzare i figli. Il meccanismo del web è infernale e le regole di pubblicazione devono essere diverse».
E poi un libro?
«Anche un libro, certo».
Quindi sta pensando di lanciare una campagna per chiedere il cambiamento della normativa vigente?
«In un certo senso sì. A Berlino, per esempio, c'è stata una sentenza che ha aperto un varco condannando a 50 mila euro di multa, con pena subito esecutiva, coloro che pubblicano contenuti diffamatori».

Insomma, non si fermerà?
«Mai». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino