Napoli. Nuove scoperte sulle relazioni tra diatomee marine e sollecitazioni del moto ondoso: le alghe unicellulari diffuse nel fitoplancton non sono inerti ma in...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Le diatomee sono alghe unicellulari fotosintetiche, le cui microscopiche dimensioni sono al di sotto della Scala di Kolmogrov. Sebbene molto studiate, sono sempre state considerate degli attori passivi, che non interagiscono con il fluido viscoso. Di fatto, tutti le immaginano come delle scatoline di vetro sospese nel mare. Gli esperimenti hanno, invece, aperto nuovi scenari sulla relazione delle microalghe con l’ambiente in cui vivono. Infatti, le diatomee possono percepire le turbolenze e attivare una serie di geni dedicati alla percezione ambientale, rispondendo ad essa con un cambiamento di forma. Inoltre, queste microalghe sembrano interpretare la presenza della turbolenza come un disturbo, un potenziale pericolo che potrebbe allontanarle dalla luce solare e quindi dalla loro fonte di nutrimento. Dunque, appena una diatomea percepisce la presenza di una turbolenza, inizia a produrre delle riserve di cibo rappresentate da acidi grassi che, non solo funzionano appunto come scorte e riserve di nutrimento, ma potrebbero aumentare il galleggiamento della cellula, riportandola quindi in superficie più rapidamente.
Il gruppo internazionale di ricercatori ha progettato e costruito, in collaborazione con la M2m Engineering di Napoli, uno strumento in grado di generare e simulare la microturbolenza marina, denominato «Turbogen». Grazie ad esso, gli studiosi hanno dimostrato che diverse specie di diatomee percepiscono e rispondono alla microturbolenza marina. Simulando il mescolamento prodotto dalle tempeste, infatti, si è compreso che, anche se piccolissime, traggono vantaggio dall’essere agitate anche se il cibo diventa scarso nell’acqua.
«Queste scoperte offrono informazioni utilissime - afferma Maurizio Ribera d’Alcalàse, dirigente di ricerca Emi della stazione zoologica - se teniamo presente che le alghe planctoniche producono almeno il 50 percento dell’ossigeno che respiriamo e sono vitali per la sopravvivenza non solo dell’ecosistema marino, ma dell’intero pianeta. Le recenti novità osservate potrebbero avere importanti implicazioni per ottimizzare la crescita delle microalghe nei bioreattori nell'ambito delle applicazioni biotecnologiche». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino