Corteggiamenti, inganni, capricci del desiderio, abbandoni, e poi invidie, gelosie, vendette e punizioni. Sono fatte di questo, da sempre, le relazioni pericolose. Ci sono i miti...
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La mostra, che a metà settembre avrà come corollario un palinsesto di eventi con esponenti dell'arte, della filosofia, del teatro e della narrativa attraverso i quali verrà esplorato il rapporto tra amore, eros e mito è stata fortemente voluta da Paolo Giulierini, il direttore sospeso dalla sentenza del Tar del Lazio - il 15 giugno la decisione in sede collegiale - che ieri, polo a mezze maniche, mani in tasca e bocca cucita, se non fosse per l'immancabile sorriso garbato, ha assistito in forma privata alla presentazione per la stampa. Il percorso espositivo è stato allestito nelle sale attigue al salone della Meridiana, chiuse dal 2014, dove nel 2018 verrà poi riallestita la sezione Magna Grecia e sarà visitabile soltanto con degli appositi copriscarpe: mentre ci si perde tra Danae, Leda, Ganimede, Callisto e Ermafrodito, si cammina infatti sul pavimento a mosaico del belvedere della Villa dei Papiri di Ercolano, sui marmi di Villa Jovis a Capri. Il bagno di Diana del Pacecco, dipinto tra il 1644 e il 1645, in prestito dal Museo di Capodimonte, per esempio, è esposto in una sala con un pavimento pompeiano a mosaico in tessere bianche e nere. A Pompei, d'altronde, «Amori divini» è intimamente legata: nasce infatti da una collaborazione con il Parco Archeologico all'interno del progetto «Pompei e i Greci» allestito all'interno della Palestra Grande degli Scavi.
Ottanta opere, dicevamo, provenienti dai siti vesuviani o della Magna Grecia, da Capodimonte, dagli Uffizi, dal Bargello e dai Musei Vaticani, ma anche dal Louvre di Parigi, dall'Hermitage di San Pietroburgo, dal Paul Getty Museum di Los Angeles e dal Kunsthistoriches Museum di Vienna. Per ciascun mito accanto ai vari manufatti antichi - pitture parietali e vascolari, sculture in marmo e bronzo - viene proposto un confronto con opere più recenti, soprattutto dell'arte del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Attraverso le quattro sezioni del progetto, si può così seguire la fortuna dei miti greci, raccolti e poi «fantasticati» da Ovidio nelle Metamorfosi, dalle pitture vascolari e parietali del mondo classico alle sculture di Baccio Bandinelli, Bartolomeo Ammannati, e Bertel Thorvaldsen, ai dipinti di Nicolas Poussin, Francesco De Rosa, Anton Domenico Gabbiani, Giovambattista Tiepolo, «tutte opere - sottolinea Luigi Gallo - mai esposte prima a Napoli, che dimostrano come il linguaggio dei miti ancora si attagli alla natura umana». «Le divinità, rappresentate con i loro difetti, sono sempre più vicine all'uomo» dice Valeria Sampaolo. «I miti greci dell'amore funzionano sempre e possono diventare qualcosa di nuovo così come ha fatto Ovidio con Dafne, Narciso ed Ermafrodito. Recentemente ho visto la mostra di un'artista australiana che aveva trasformato il mito greco in un mito maori. Icone del comportamento, sono ormai presenti nel nostro immaginario» racconta Anna Anguissola. «Queste cose non avvennero mai, ma sono sempre»: la frase scritta da Sallustio a proposito del mito, accoglie i visitatori all'ingresso della mostra.
Il prossimo appuntamento al Mann è per il 15 giugno per «Il mondo che non c'era», l'arte precolombiana dalla Collezione Ligabue. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino