Napoli, quando lo scrittore Galeano omaggiò l'altare di Maradona: «Con lui il Sud ha umiliato il Nord»

Napoli, quando lo scrittore Galeano omaggiò l'altare di Maradona: «Con lui il Sud ha umiliato il Nord»
Il rapporto tra Maradona e Napoli lo colse più di tutti, alcuni anni fa, lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano. Dopo i trionfi azzurri l'autore sudamericano ebbe...

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Il rapporto tra Maradona e Napoli lo colse più di tutti, alcuni anni fa, lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano. Dopo i trionfi azzurri l'autore sudamericano ebbe a scrivere: «Grazie a Maradona il Sud oscuro era riuscito, infine, a umiliare il Nord luminoso che lo disprezzava. Coppa dopo coppa, negli stadi italiani ed europei, la squadra del Napoli vinceva e ogni gol era una profanazione dell’ordine costituito e una rivincita sulla storia».

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Il grande scrittore uruguaiano, scomparso nel 2015, nel 2010 visitò la città partenopea e su input del docente dell'Orientale Marco Ottaiano, che allora collaborava con la Fondazione Premio Napoli, omaggiò l'altare eretto a Diego a Spaccanapoli, quello contenente il capello "sacro". «Mi ha commosso molto, è stata una vera fortuna poterlo vedere», raccontò allora lo scrittore ai giornalisti. «Accanto all'effige di Diego c'è un sacchettino di lacrime. Sono ovviamente le lacrime sparse dai napoletani dopo la partenza di Maradona. Ho pensato all'umiltà delle mani che hanno costruito quell'altare e che poi vi hanno poggiato quel sacchetto», rifletté Galeano.

Oggi Marco Ottaiano ha rinverdito il suo ricordo in un post su facebook, in cui ricorda il dialogo con l'autore di Montevideo. «Ci restano un paio di ore, Eduardo. Cosa vorresti fare?». «Marco, portami in un posto di questa città che mi emoziona». «Me ne viene in mente uno. Si trova nel centro storico». 

Arrivati lì, davanti al bar di via Nilo, Galeano disse: «Che meraviglia, fratello. Pensa alle mani umili che lo hanno costruito... Scattami un paio di foto con Helena mentre entrambi preghiamo vicino all'altare». C'era anche la moglie dello scrittore. Era il 5 marzo del 2010. «Non ho mai visto le foto che gli scattai» racconta oggi Ottaiano.


 

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Il Mattino