Marcia per la pace, il monito del vescovo di Napoli: «Mai più conflitti se siamo insieme»

Dopo l'omelia Battaglia ha partecipato alla marcia silenziosa che da via Duomo si è conclusa nella chiesa dei Santi Severino e Sossio

Marcia per la pace, monito del vescovo
«Riprendo il messaggio di Papa Francesco: la parola insieme intesa come l'unica per costruire la pace. A questo aggiungo la benedizione. Tutti abbiamo bisogno di...

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«Riprendo il messaggio di Papa Francesco: la parola insieme intesa come l'unica per costruire la pace. A questo aggiungo la benedizione. Tutti abbiamo bisogno di illuminare il nostro cammino. Pace è avere il coraggio di abitare insieme le nostre strade e i nostri quartieri per dare un volto nuovo a questa società segnato da giustizia, pace e amore. Amate e sognate la pace ogni giorno». Sono le parole pronunciate dall'arcivescovo di Napoli don Domenico Battaglia sul sagrato del Duomo, a margine della celebrazione eucaristica di Capodanno per la cinquantaseiesima Giornata mondiale della pace. Dopo l'omelia Battaglia ha partecipato alla marcia silenziosa che da via Duomo si è conclusa nella chiesa dei Santi Severino e Sossio con l'ascolto dell'Angelus del Papa. Tra gli intervenuti i rappresentanti di Arcidiocesi di Napoli settore Carità e giustizia, comunità di Sant'Egidio, Azione Cattolica, Cammino neocatecumenale, Centro Sportivo Italiano, Comunità di Vita Cristiana, Cursillos di Cristianità, Movimento dei Focolari, Pax Christi e Rinnovamento nello spirito; l'attrice Marina Confalone ha letto la lettera Nessuno può salvarsi da solo, tratta dal messaggio che il Pontefice ha scritto in occasione della Giornata della pace; il direttore del carcere di Nisida Gianluca Guida; il referente della comunità di Sant'Egidio Antonio Mattone.

Congo, Nigeria, Mali, Yemen e ancora Afghanistan, Iran, Corea del Nord, Burkina Faso, Messico, Libia, Somalia, Colombia, Iraq, Ucraina e tanti altri Paesi hanno rappresentato il grido unanime di no alla guerra per la marcia silenziosa. «Quest'anno chiede un segno di pace al suo inizio - ha detto Marco Rossi, della comunità di Sant'Egidio - perché la guerra ormai è arrivata alle nostre porte, è compagna della vita dei popoli in ogni parte del mondo. Il Papa ci rimanda a questo continuamente e il nostro arcivescovo è molto sensibile al tema». Diverse le testimonianze di chi è fuggito dalla guerra, come Ahmad, 30 anni e sua moglie Warda, di 28, arrivati dalla Siria con le due figlie di 2 e 4 anni attraverso i corridoi umanitari. «Siamo qui dal 27 giugno - racconta lui - dopo essere scappati da Raqqa, la capitale dell'Isis e le nostre bimbe sono nate in un campo profughi in Libano». Una storia fatta di traumi, sacrifici e sofferenze quella dell'uomo, che nel suo Paese era studente universitario: «Non potevo più studiare perché le facoltà erano state chiuse. Mio padre era un impiegato governativo, poi ha perso il lavoro con il nuovo regime. Da lì ho avuto l'idea di aprire un internet point per mettere in contatto le famiglie, dato che i telefoni erano controllati. Ma un giorno hanno controllato anche il mio e mi hanno chiuso il negozio». Arrestato e fatto prigioniero, Ahmad è rimasto in cella per un mese: «Mi torturavano, gettavano corpi morti davanti a noi e ci terrorizzavano dicendo farete la stessa fine. La mia famiglia ha pagato una grossa somma per liberarmi ed è stato difficile tornare alla vita normale perché davanti agli occhi avevo sempre quelle scene terribili». Rifugiatosi in Libano il 30enne è riuscito a mettere da parte un po' di soldi e a sposarsi con la fidanzata. Poi con la pandemia tutto si è complicato: «Ho pensato di scappare tramite i trafficanti ma non avevo i soldi - prosegue il giovane siriano - allora mio fratello ha contattato Sant'Egidio e siamo riusciti a venire in Italia. Loro mi hanno dato una casa, la possibilità di studiare l'italiano e mandare a scuola la nostra primogenita. Perciò ora vogliamo aiutare altri come noi», conclude. 

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Il Mattino