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Ucciso il 15 luglio del 2020, nella sua casa di San Vicente del Caguan alle porte dell’Amazzonia. Ucciso, insistono i genitori di Mario Paciolla, 33enne cooperante napoletano dell’Onu, ma le autorità colombiane e anche l’Onu sostengono l’ipotesi del suicidio. Un anno e mezzo dopo, nonostante sia stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Roma per omicidio, la verità sulla morte di Mario è lontana.
«Mario stava scappando dalla Colombia, perché forse era stato testimone di qualcosa. Lo hanno ucciso quattro ore dopo l’acquisto di un biglietto aereo di ritorno» dice la mamma, Anna Motta. Dunque, Mario voleva lasciare la Colombia, dove viveva da quattro anni collaborando con l’Onu dal 2018. Delicato il suo incarico: verificare gli accordi di pace tra il governo locale e le forze armate rivoluzionarie della Colombia. Delicato perché la regione dove viveva era alle prese con una sanguinosa guerra civile. Hanno trovato il giovane appeso a un lenzuolo bianco e con tagli ai polsi. Senza approfondire, l’autopsia dei medici colombiani ha subito avvalorato la tesi del suicidio. Ma la mamma e la fidanzata Ilaria Izzo hanno sempre riferito di colloqui telefonici con Mario, preoccupato «per qualcosa che era accaduto nella sua missione».
Quattro poliziotti colombiani sono sotto inchiesta per non aver impedito che i funzionari dell’Onu prelevassero oggetti dall’appartamento, modificando la scena del delitto. Oggetti, mai restituiti alla famiglia (tra cui un’agenda su cui Mario annotava appunti e spostamenti), spostati in un ufficio dell’Onu. Un funzionario dell’Onu avrebbe anche ripulito con due donne l’appartamento, utilizzando la candeggina. Piena di ostacoli l’inchiesta della Procura di Roma, che ha chiesto una seconda autopsia su un corpo che era stato riconsegnato non ricomposto. E tanti sono i dubbi su quello che Mario aveva potuto vedere, o sapere, sulla missione Onu. Il padre Giuseppe ha ricordato una frase del figlio a telefono: «Mi sento sporco, ho voglia di lavarmi nel mare di Napoli» e poi un presagio: «Mi disse di guardare un film, che lo aveva colpito, in cui un coooperante dell’Onu veniva assassinato».
La giornalista Claudia Julieta Duque ha approfondito la delicata vicenda al centro di un report dell’Onu a cui Mario aveva contribuito. Descriveva il bombardamento su un campo di dissidenti dei ribelli dove morirono anche 18 adolescenti tra i 12 e i 17 anni. Un episodio su cui il cooperante napoletano aveva denunciato la gravità. Poi, quattro mesi dopo la morte di Mario, si dimise il ministro della Difesa colombiano, Guillermo Botero, travolto dalle accuse di un senatore d’opposizione, Roy Barreras, legate proprio al bombardamento denunciato nel report dell’Onu. Misterioso, come Barreras aveva ottenuto quelle notizie. L’episodio doveva restare segreto e Mario sapeva di aver reso pubblica una vicenda delicata, tanto da eliminare ogni sua traccia sui social. In una lettera-articolo, proprio la giornalista Julieta Duque ha scritto: «So dei tuoi malumori interni nei confronti di un’organizzazione che nel 2019, nel suo rapporto, ha dedicato soltanto un paragrafo di 6 righe al bombardamento militare nel quale sono morti 18 bambini. So che hai documentato altri casi del genere, come il dislocamento forzato delle famiglie dei bambini uccisi e dell’assassinio di altre persone. So che ti dava fastidio la leggerezza dei toni dei rapporti dell’Onu». Una circostanza inquietante, da approfondire. Intanto gli scritti di Mario diventeranno presto un libro.
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