Per chiudere la bella mostra che ha celebrato al Madre i suoi primi quarant'anni di carriera, Mario Martone ha scelto di fare una «passeggiata» tra il Museo...
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Nella sua passeggiata di quattro ore tra «le due città» ha valicato muri?
«Lo spunto è stato il walkabout di Carlo Infante, mi aveva proposto una camminata dal Madre ai Quartieri Spagnoli, dove sono nati i miei primi spettacoli. Ma l'impostazione avrebbe contraddetto il senso della mostra, cioè l'idea di lavorare sul passato in una maniera libera, assertiva e proiettata al futuro. M'interessava mettere in piedi un dispositivo contemporaneo e non una forma di storicizzazione. Volevo dar conto del mio lavoro in maniera complessa».
E quindi ha cambiato itinerario.
«La sera prima del walkabout sono stato all'inaugurazione della nuova Sala Assoli, il legame con i Quartieri Spagnoli resta fortissimo. Ma in questa occasione mi piaceva che la passeggiata fosse verso le periferie. E mi sono incamminato verso San Giovanni a Teduccio, dove ci sono le tracce vive di un passato legato alla crescita del movimento operaio e dove ho fatto incontri di un'umanità straordinaria. Com'è possibile non aprirsi alle periferie, non tentare, come si fa a New York e a Milano, di rigenerarle restituendole alla comunità risanate? La nostra passeggiata voleva dire, appunto: abbattiamo i muri, basta con la paura».
Inutile negare che le periferie sono anche degrado, traffici, criminalità, stese.
«Infatti non lo nego, ci mancherebbe. Ma non si può parlare solo di questo. Penso ai murales di Che Guevara dipinti da Jorit sulle facciate di due palazzi di Taverna del Ferro come a un simbolo di resilienza e di rinascita. Esiste una forza propulsiva della città che non può essere ignorata. Certo, affrontare i problemi derivati da una rivoluzione inclusiva non è semplice, però non dobbiamo farci avvelenare dalla paura. Almeno bisogna guardare, aprire gli occhi. A furia di aver paura il male ti coglie dove sei».
Chi l'ha appoggiata?
«Bello il rapporto con il Madre, mi piace la continuità del suo percorso museale e il pensiero che dietro il legame di Napoli con l'arte contemporanea ci siano il gran lavoro e il carisma di Lucio Amelio. Sono grato a lui e agli artisti che hanno collaborato a un grande progetto».
E la politica?
«Ognuno deve fare la sua parte, la politica deve svolgere il suo ruolo, io mi muovo su strategie artistiche. Ora sono concentrato sul cinema, sull'uscita di Capri - Revolution il 13 dicembre nelle sale, e su altre, nuove esplorazioni nell'arcipelago delle mie suggestioni. Naturalmente al centro del mio immaginario c'è Napoli e ci sono rapporti speciali con il passato. Stasera Tango glaciale Reloaded sarà al Roma Europa Festival e domani la copia restaurata dell'Amore molesto sarà proiettata alla Festa di Roma. Sono fili che si riannodano».
E così torniamo al suo rapporto con Elena Ferrante.
«Una grande scrittrice, non posso che gioire del suo successo. Proprio l'enorme attenzione per L'amica geniale e il complesso della sua opera ha favorito la nuova uscita del film. L'amore molesto è stato ricomprato in America e grazie a questo evento ho potuto restaurare la copia e riportare con Luca Bigazzi i flash-back all'originario bianco e nero».
La Ferrante collaborò attivamente alla sceneggiatura del film e si sa che, per la serie sull'«Amica geniale», aveva indicato anche il suo tra i nomi dei registi che le piacevano, con Saverio Costanzo e Bernardo Bertolucci. Siete rimasti in contatto?
«Il mio rapporto con Elena Ferrante è sempre molto forte e credo le avrebbe fatto piacere se mi fossi dedicato al progetto. Ma poi l'ha realizzato un regista da lei altrettanto apprezzato come Saverio Costanzo e sono sicuro che ha fatto un gran lavoro, lo vedrò con molto interesse. Comunque, la Ferrante rimane nell'orbita della mia ispirazione, anche con cose che non c'entrano niente con i suoi libri. Non a caso nella passeggiata del finissage c'erano i luoghi dell'Amore molesto. L'interesse per il suo mondo, come per l'universo eduardiano, non è scemato mai, anche se ora abbiamo altri giri da compiere».
In teatro, con «Il sindaco del rione Sanità», al cinema con «Capri - Revolution», ha puntato su attori molto giovani. È tempo di un ricambio generazionale?
«Quando abbiamo cominciato, io e Toni Servillo, avevamo 17 anni, a 20 abbiamo avuto i primi successi. Oggi Marianna Fontana, la protagonista di Capri - Revolution, ha 21 anni, Francesco Di Leva è un sindaco nel pieno del vigore. I giovani hanno forza e il mondo cammina veloce, bisogna essere aperti al nuovo come a chi arriva da lontano e alle periferie. La chiusura non ci ha mai messo al sicuro».
Premiato alla carriera alla Festa di Roma, un maestro come Martin Scorsese l'ha citata tra i registi italiani più interessanti, con Sorrentino, Garrone, Rohrwacher e Carpignano. Che effetto le fa?
«Scorsese per me è sempre stato un mito, saccheggiavamo i suoi film da ragazzi e lo ricordo alla prima di Tango glaciale al Cafè La MaMa di New York nel 1983. L'apprezzamento viene dal regista che stimo di più in assoluto e mi fa, naturalmente, felice». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino