Agguato a Napoli, Ciro ferito a 18 anni: «Volevano uccidermi, ma io non sono uno di loro»

Agguato a Napoli, Ciro ferito a 18 anni: «Volevano uccidermi, ma io non sono uno di loro»
«Non ho addestrato un guerriero ma ho cresciuto un figlio». Con queste parole, Titta Armento difende Ciro Vecchione che non lascia solo un istante, assistendolo dalla...

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«Non ho addestrato un guerriero ma ho cresciuto un figlio». Con queste parole, Titta Armento difende Ciro Vecchione che non lascia solo un istante, assistendolo dalla notte del ricovero, tra domenica e lunedì, nel reparto di Ortopedia dell'ospedale Vecchio Pellegrini. «Stanno girando notizie false su mio figlio che viene attaccato anche sui social ma lui non c'entra nulla con la sparatoria di cui è stato vittima» spiega la mamma del giovane che compirà 19 anni fra poche settimane e che ha deciso di dire la sua su quanto accaduto quella notte.

Ciro, può descrivere cosa è successo?
«Domenica sera ero andato a cena fuori insieme con tutta la mia famiglia. Dopo essere rincasato e aver parcheggiato l'auto, sono uscito per farmi il solito giro con gli amici in piazza Sanità dove ci ritroviamo spesso noi ragazzi del rione. Ero arrivato con la mia moto insieme ad Antonio, mio amico fraterno e avevo sentito mia madre al telefono poco prima delle due, come facciamo abitualmente quando sono fuori casa. A un certo punto, ci siamo spostati dalla piazza per fare un giro e mentre Antonio guidava la mia moto, siamo stati colpiti dai proiettili».

Cosa ricorda della sparatoria?
«Eravamo all'angolo con via Sanità quando abbiamo visto di fronte a noi due scooter con a bordo quattro persone completamente coperte da caschi integrali che ci venivano velocemente incontro. Istintivamente, ci siamo preoccupati e credo che chiunque, al posto nostro, avrebbe reagito come noi».

Siete scappati?
«Certo. C'era qualcosa di strano perciò il nostro pensiero è stato accelerare per scappare. Quando li abbiamo avuti di fianco, il primo colpo ha ferito Antonio che guidava e, in quel momento, non mi sono reso conto che subito dopo, avevano colpito anche me. Il mio amico è riuscito a guidare la moto per qualche secondo. Ricordo di essermi accasciato su di lui e poi siamo caduti a terra».

Vi hanno soccorso?
«Inizialmente ho pensato ad aiutare Antonio. Lui era ricoperto di sangue, ho chiesto aiuto e degli amici che lo hanno accompagnato all'ospedale nella Pignasecca. Non mi ero accorto che mi avevano ferito fino a quando sono rimasto da solo e ho visto che non riuscivo a muovere il mio braccio sinistro. Ho tolto la maglietta e ho visto la ferita all'altezza dell'ascella che sanguinava. Un'auto è passata ma non si è fermata e, devo essere onesto, non me la sono presa perché credo abbiano avuto paura. Anche io, ho cominciato a pensare che non dovevo stare in mezzo alla strada perché sarebbero potuti tornare. Dopo i colpi esplosi contro di noi, ne avevo sentiti molti altri. Allora ho telefonato a mia madre e le ho detto: mi hanno sparato».

Lei come si spiega questo assalto di fuoco?
«Non riesco a capire come sia potuta accadere una cosa del genere. Non sono mai stato coinvolto in nessun episodio di aggressioni o rivalità, neanche a scuola litigavo con i compagni e mi sono diplomato in moda, all'istituto Caracciolo perché, anche se non ho ancora le idee chiare, voglio costruirmi un futuro. Ovviamente, mi sono preoccupato e ho temuto che potessi rischiare la vita ma le mie giornate non cambieranno dopo ciò che è accaduto. Continuerò a fare le stesse cose e a uscire con gli amici in piazza Sanità».

Sui social ha ricevuto provocazioni e insulti, perché?
«Qualcuno ha pubblicato la foto che mi ero fatto in ospedale, aggiungendo questa frase non mi avete fatto niente!. In realtà, non l'ho scritta io e non ho idea di chi possa averlo fatto. Voglio che sia chiaro che non sono stato io e non mi interessa delle polemiche, infatti non sto rispondendo a nessuno sui social. Hanno anche usato una foto che ho pubblicato quando ho incontrato mio nonno, circa 20 giorni fa, seppure in regime di detenzione, mettendolo in mezzo a questa storia mentre, per me, lui è semplicemente mio nonno. La gente ha persino fatto riferimenti alla Paranza dei bambini, il film in cui ho recitato, provocandomi in senso negativo come se quello fosse il mio stile di vita ma non è così. Il cinema è solo un'esperienza che mi è capitata anche se mi piacerebbe avere la possibilità di continuare».

Come si sente ora?


«Mi sento miracolato e penso che lo stesso provi anche Antonio, il mio amico fraterno. Siamo stati doppiamente fortunati a non farci male con la moto, dopo essere stati feriti dai proiettili. Sono molto credente, prego e ho diversi tatuaggi con temi religiosi. Quello che conta è stare bene, del resto non mi interessa nulla».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino