Migranti a Napoli, la nuova vita dei bambini: ​«Sono provati, ma stanno bene»

L'attracco della nave Geo Barents al molo 21: controlli sanitari e indagine sugli scafisti

Uno dei bimbi sbarcati dalla Geo Barents
I primi a scendere sono loro, i bambini: quelli accompagnati dalle mamme e quelli che hanno lasciato ogni cosa in terra d’Africa, a cominciare dagli affetti familiari....

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I primi a scendere sono loro, i bambini: quelli accompagnati dalle mamme e quelli che hanno lasciato ogni cosa in terra d’Africa, a cominciare dagli affetti familiari. Trentaquattro bambini e adolescenti soli, il più giovane non ha ancora 13 anni, la più grande 17. A seguire, sbarcano tutti gli altri. 

Il carico umano messo in salvo da “Medici senza frontiere” arriva finalmente sulla terraferma, e stavolta tocca a Napoli. Alle otto di ieri mattina per i 75 migranti che hanno viaggiato a bordo della “Geo Barents” comincia una nuova vita, quella per la quale hanno sfidato un viaggio nel deserto, i lager libici con i loro carnefici, le violenze, le umiliazioni, i rischi del mare e di una traversata che troppe volte si trasforma in un ultimo viaggio. Dal molo 21 del Porto di Napoli riescono a vedere solo parte della città che sta per accoglierli, in tanti restano ipnotizzati dal Vesuvio che sovrasta il Golfo. 

Ad attendere a terra gli stranieri (provenienti tutti dall’Africa Sub-sahariana e appartenenti a undici diverse nazionalità) ci sono i servizi sociali del Comune di Napoli, medici, pediatri e infermieri, le forze dell’ordine, la Protezione Civile, volontari e mediatori culturali. La macchina preposta al disbrigo delle procedure previste in questi casi ha funzionato alla perfezione. Una giovane donna tiene tra le mani un taccuino sul quale con scrittura incerta ha annotato le prime parole fondamentali di italiano: “Andiamo” - “Grazie” “ Sì, no” - “Per piacere” - Io mi chiamo Amina”. Impossibile per i giornalisti incontrare i migranti: un cancello sorvegliato dalla polizia impedisce di accedere sul molo nel quale sono state installate le tende della Regione Campania; inizia il viavai dei traduttori e dei sanitari, gli agenti dell’Immigrazione timbrano pratiche e ascoltano gli africani. 

Come sempre, in questi casi, accanto alla macchina dell’accoglienza c’è quella parallela delle investigazioni. Bisogna capire se tra gli sbarcati si siano confusi gli scafisti, i trafficanti di carne umana. Attualmente sono in corso verifiche su due persone adulte di sesso maschile, e anche se bisogna usare tutte le cautele del caso è un dato di fatto che da quel barchino in legno intercettato dalla “Geo Barents” in acque internazionali vicino la Libia sono stati trasbordati tutti gli occupanti, a cominciare dal nocchiero (anch’egli africano).

Per il Comune di Napoli era presente l’assessore al Welfare Luca Trapanese, che ha assistito fino al termine alle operazioni di sbarco. I migranti - tutti - sono stati trasferiti all’Ospedale del Mare per i controlli sanitari: nei prossimi giorni i minori non accompagnati saranno ospitati in centri di accoglienza dedicati, mentre per i maggiorenni la destinazione resta quella dei Centri di accoglienza straordinaria delle province campane e, forse, anche di altre regioni. Un gruppo di giovani medici del Santobono conferma che tra gli arrivati «i più stressati sono i minori non accompagnati, ed è comprensibile: in generale le condizioni di salute dei giovanissimi immigrati sono buone, anche se per qualcuno bisognerà fare qualche approfondimento».

A incontrare i cronisti è invece il capo missione della nave, lo spagnolo Juan Matias Gil, che non risparmia una critica al governo italiano: «I migranti fanno questi viaggi per disperazione. Mamme e famiglie che devono affrontare questo modo di viaggiare perché non hanno alternative sicure per farlo senza rischiare la propria vita e quella delle persone a cui vogliono più bene», aggiunge precisando che, dal momento del soccorso, sono servite 72 ore di navigazione per approdare a un porto sicuro. «Napoli dista 900 chilometri dal luogo in cui abbiamo prestato soccorso. Ci sono tanti altri porti più vicini per una quantità così piccola, 75 persone. Ma abbiamo visto che questa è la pratica: mandarci più lontano, metterci più giorni per arrivare, in condizioni meteo non ottime, altrettanti giorni per rientrare in zona. Quindi, almeno per una settimana non potremo essere operativi»

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Il Mattino