Misure di prevenzione e caccia ai capitali mafiosi: esperti a confronto

Misure di prevenzione e caccia ai capitali mafiosi: esperti a confronto
Intervenire sul sistema di misure di prevenzione, portare a termine la svolta (per alcuni aspetti epocale) iniziata addirittura negli anni Cinquanta in materia di aggressione ai...

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Intervenire sul sistema di misure di prevenzione, portare a termine la svolta (per alcuni aspetti epocale) iniziata addirittura negli anni Cinquanta in materia di aggressione ai capitali di origine sospetta o a proposito della tutela della collettività da soggetti potenzialmente pericolosi. 


Sono questi i punti su cui si è dibattuto nel corso dell’incontro di formazione che riapre il corso biennale di tecnica e deontologia del difensore di ufficio (anni 2021-2022). Terreno di confronto è la pubblicazione del testo “Il mutamento impresso alle misure di prevenzione: dalla prevenzione alla punizione”, a firma del professore e avvocato (ed ed senatore) Nico D’Ascola, ordinario di Diritto penale alla Mediterranea di Reggio Calabria. Un testo che reca già nel titolo, ma anche nel sottotitolo (“ambiguità e aspirazioni punitive di un sistema mantenuto a mezza via”) una chiara vocazione critica nei confronti del sistema di interventi chiamato misure di prevenzione, messi in campo dallo Stato a tutela degli interessi pubblici.

È toccato all’avvocato Roberto Imperatore, vice coordinatore commissione diritto e procedura penale del Coa di Napoli nord, nonché componente dell’osservatorio sull’errore giudiziario dell’Ucpi, introdurre il lavoro del professor D’Ascola, attraverso un fitto excursus sulle misure di prevenzione sin dai primi anni del Regno Unito. Ad ascoltare i relatori, per oltre tre ore di convegno, circa 150 iscritti che hanno avuto modo di conoscere approcci differenti su una materia decisiva per la credibilità dello Stato, sia in materia penale che sotto il profilo amministrativo. Ma torniamo al tema del convegno. È l’avvocato Imperatore a ricordare - sulla scorta di quanto emerso dal testo del professo D’Ascola - che i primi interventi in materia di prevenzione nascono con la legge Pica, con il tentativo dello stato ex sabaudo di tenere a bada vagabondi e soggetti pericolosi. Ma andando avanti negli anni, anche in età repubblicana resta il problema del carattere delle leggi di prevenzione, tanto che “la Costituzione non fa cenno a questo tipo di interventi”. 


Ed è qui che - spiega Imperatore - si parla di doppio binario o di cultura del sospetto: qual è il carattere delle leggi di prevenzione? Afflittivo o punitivo? E intervengono per una condanna penale o a indipendentemente da essa? È il tema su cui si cimenta il professor D’Ascola, che ricorda che - così come sono - “le misure di prevenzione sembrano asessuate, non ricadendo nella sfera penale in senso stretto, né in un impianto puramente amministrativo”. È ancora il docente di Reggio Calabria (che ricorda di aver assistito a otto anni, grazie al padre avvocato, a una arringa di De Marsico in quel di Castel Capuano) a ricordare l’esigenza di “tenere vigili le coscienze rispetto alle garanzie che si devono a ogni cittadino: può essere lo stesso giudice della cautela e del merito a firmare la confisca di un bene di origine sospetta? È giusto introdurre il principio di retroattività di una riforma di legge, a proposito di sequestri di capitali di presunta origine mafiosa? Qual è il percorso di un procedimento preventivo a carico di un imprenditore rispetto a un processo penale che invece si conclude con l’assoluzione dell’imputato stesso?”.
Domande su cui si cimentano anche giuristi di approccio e formazione differente. Tocca al procuratore facente funzione di Napoli Nord Carmine Renzulli ricordare “l’efficacia delle misure di prevenzione in un territorio come quello aversano, che hanno consentito di sottrarre patrimoni di origine mafiosa in un processo di più generale riaffermazione dello Stato”. 
Ed è il momento del giudice Massimo Urbano, componente della sezione di misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, chiarire il suo punto di vista: “In linea di principio non ho alcuna riserva critica nei confronti del testo del professor D’Ascola, anche se ricordo l’importanza di avere a disposizione delle possibilità di intervento in un territorio come quello samaritano. Provo a ragionare caso per caso, quando - nel chiuso di una camera di consiglio - ti trovi di fronte a un soggetto pericoloso o a un patrimonio di dubbia provenienza, secondo quanto emerge dalla storia processuale di un imputato o di un bene finito sotto sequestro”.


Rivendicano il proprio status di soggetti politici (ovviamente in senso associativo e a proposito di formazione di una classe dirigente dell’avvocatura) i leader delle camere penali di Napoli Nord e di Santa Maria Capua Vetere, gli avvocati Felice Belluomo e Francesco Petrillo, mentre si leva richiesta di attenzione verso le garanzie individuali da parte del presidente (dimissionario) del Coa di Napoli Nord Gianfranco Mallardo, dell’avvocato Alessandra Palma (responsabile dell’osservatorio sull’errore giudiziario Ucpi), e del professor Paolo Tanda (commissione diritto e procedura penale del Coa di Napoli nord). Leggi l'articolo completo su
Il Mattino