La tanto attesa monografia sulla complessiva opera dell’artista napoletano Antonio Della Gaggia, edita per i prestigiosi tipi delle Edizioni Scientifiche Italiane, casa...
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Antonio Della Gaggia sin dalle prime sperimentazioni (siamo alla metà degli anni Sessanta) pare acquisire consapevolezza stilistica; opera sistematicamente all’interno di una corrente diffusa che si informa ad un astrattismo informale, gesto radicale per coniugare il segno alla materia in direzione di un’autonomia dell’immagine, libera da possibili trascrizioni del reale o da narrazioni anche stilistiche: un’operazione di sintesi che progressivamente muti forme anche inerti in una dimensione “organicista” dello spazio. Nell’ambito di questo più ampio sentire, l’artista napoletano individua una sua immagine autonoma, acquisisce e disciplina un personale linguaggio, armonizza e disarmonizza la forma plastica come il colore, individua nuovi segni, ne riscatta altri, concretizza un linguaggio costruttivo, lo dinamizza, si rapporta ad altre esperienze, postcubiste più che già futuriste; senza rinunciare del tutto al valore simbolico come alla componente emozionale, aggiunge realtà alla realtà, come una libertaria nuova religione di verità. In questo processo di aggregazione, che è, al tempo stesso, anche temporale, l’artista individua anche una moralità “politica”. Ciò che più conta in questo secondo periodo autoformativo è che l’artista non traccia per se stesso un manifesto, un disegno preoperativo nel quale informare la ricerca, come poteva essere accaduto nell’ambito del Fronte nuovo delle arti. Al contrario, la sua dialettica è costantemente interattiva e sempre capace, al suo interno, di sviluppare contrasti, di immaginare disarticolazioni tematiche ed antiteticità cognitive. La linea si frange, si interrompe, si inabbisa, riprende, si dissolve, riappare; la curva si torce in controcurva, per poi slanciarsi in segno aereo che si libera sulla tela a narrare della gestualità creatrice ed anche quando sembra apparire una figura, l’artista ci fornisce altrettanto materiale per una visione analitica affinché si scardini tale vaga o apparente verosimiglianza. Una strategia che, nell’opera pittorica, conduce alla degradazione della forma in un colore tonale e materico, mentre vanno accentuandosi le geometrizzazioni delle superfici come dei piani così facendo della pittura un valore autonomo. Gli stati d’animo, tuttavia, spesso irrompono accentuando vertigini, spigolosità, fratture, ondulosità, avvolgimenti, portando in chiaro il già sotteso dato della musicalità di fondo come tessitura di griglia pentagrammica spirituale. Del resto, alcune accensioni metacromatiche, gli intensi e vivi contrasti cromatici, le contrapposizioni dissonanti, dichiarano la palese adesione dell’artista ad un parallelo alfabeto musicale mentre nell’opera grafica è più evidente l’individuazione di un latente, silenzioso spazio dalle asciutte linearità, allusive forse ad una, ormai rarefatta, memorialità della materia che la forma attuale ha soltanto tentato di alterare; ed in questo pare recuperi un velo di atmosfera, diversamente assente dal complesso della sua opera pittorica. Il “musicista” Della Gaggia associa, dunque, al piano ed alla linea, moduli e ritmi, così definitivamente rinunciando alla prospettiva ed allo spazio-ambiente. Il complesso policromatismo dei dipinti appare sapientente dimensionato come per una struttura architettonica che possa librare equlibrata nello spazio di volta in volta concepito dall’artista, spesso alternativo ad altre soluzioni parallelamente concepite, ma sempre indirizzato alla semplificazione anche laddove la matericità paia prendere il sopravvento sulla linea. Tanto mentalmente ordinata appare la ricerca dell’artista napoletano che quasi se ne intravede un impianto di tipo scientifico e ciò, in particolar modo, nella linea evolutivo-creativa in scultura, dove la forza espressiva si coniuga con organicistici moti plastici, così conferendo all’opera un’intensa componente psicologica che sottrae il manufatto da ogni intenzione totemico-esoterica. La rigorosità dell’impegno verso soluzioni di sintesi lirica informa tanto la pittura che la scultura, conferendo all’opera di Della Gaggia un dato fortemente unitario quanto coerente. Non mancano, tra l’altro, dipinti che paiono alludere a forme della scultura ed opere, soprattutto legni, tanto plastici e fluidi da rasentare la morbidezza di un tratto pittorico, linea sciolta nell’infinito azzurro del mare-cielo spirituale che tante volte torna a rasserenare la mente dell’artista anche negli anni della maturità. Aspetto che accomuna i due momenti espressivi sembra quello afferente un’interiore, inevitabile organicità che muove l’interno della forma in scultura come dell’impianto cromatico in pittura; come per una capacità, naturale e nemmeno tanto arcana, che consente dei cicli vitali all’interno dell’opera, organismo che, dunque, si trasforma attimo dopo attimo, si attivizza, alterando la visione, la comprensione, l’acquisizione. Ciò anche grazie ad una segnata spontaneità espressive di matrice non « tecnologica ». La poetica che ne risulta accentua la negazione idealistico teorica, l’anticoncettualità dell’artista, sempre antagonista verso dettami o referenze spesso latori di condizionamenti positivistici, consentendogli una presenza mai ecumenica all’interno del sistema-arte contemporaneo. Al tempo della macchina, dell’artificio tecnologico, oppone un pensiero altrettanto razionale, ma incentrato sulla dimensione naturale dell’esistere, reperibile persino nella plasticità materica del colore che libra nello spazio senza dimensione, attraversato logicamente e non gestualmente. Altro elemento di tipo apparentemente naturale nell’opera di Antonio Della Gaggia è il tempo, scandito nelle tele dalla lunghezza dell’attenzione al fluire e rifluire dell’immagine all’interno del sistema cognitivo dato dall’artista, mente le sculture liberano intorno un dinamismo fatto di forze che continuamente si compensano, come fossero progetti di equilibrio di Calder, e senza la necessità di movimento fisico, più che sopperito da uno stato dinamico interiore in continuo riassestamento. E la componente temporale si salda, nell’opera dell’artista napoletano, assai intensamente con quella spaziale, come unica essenza, morfologia di un pensiero vivente, alfabeto primordiale di cromie affabulanti e di linee che si tendono e si distendono verso inafferrabili equivalenze. La luce che fissa il colore della materia o che scivola sulla plasticità della forma è essenzialmente energia, dato altrettanto fisico, non idealistico, visualizzabile come struttura tra la struttura, che contribuisce ad addensare o a sezionare.
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Il Mattino