Potrebbero non essere stati solo i gravi traumi subiti certamente dopo l'incidente in moto e le presunte carenze logistiche e organizzative dei soccorsi a provocare la morte...
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Ma la presenza di sostanze stupefacenti, rilevate anche dopo le numerose trasfusioni praticate al ragazzo, ebbe un ruolo di «concausa» nell'evoluzione clinica del paziente. «I medici del Loreto Mare - scrivono ancora i periti - praticarono esami di laboratorio e strumentali, suturarono le ferite e procedettero alla stabilizzazione dei parametri vitali mediante farmaci ed emotrasfusioni. Procedettero, inoltre, al trasferimento di Scafuri al presidio ospedaliero Pellegrini al fine di sottoporre il paziente ad un'indagine arteriografia, risultata poi negativa per lesioni vascolari. Per cui riteniamo - aggiunge il collegio di specialisti nominati consulenti del Tribunale - che il comportamento degli stessi non presentò momenti di censura» aggiungendo anche che «non possono riconoscersi condotte dei sanitari, che ebbero in cura la persona durate le fasi del ricovero, aventi un ruolo causale o concausale nel determinare l'esito fatale».
Una vicenda, quella di Scafuri, che fu messa nei mesi scorsi anche sotto i riflettori degli ispettori ministeriali che evidenziarono carenze organizzative nella rete per i soccorsi per i traumi maggiori in città e nei singoli ospedali della Asl Napoli 1. Allora, e ancora oggi, la rete tempo-dipendente per soccorrere le vittime di gravi traumi non è ancora costituita. L'unico ospedale, a Napoli dotato di un trauma team collaudato per la multidisciplinarietà, è quello del Cardarelli. Pertanto a settembre 2017 il presidente della Regione Vincenzo De Luca, in una nota firmata in qualità di Commissario per la Sanità regionale, dettò urgenti disposizioni in materia di gestione del paziente politraumatizzato dando il via ai trauma team da costituire in tutti i pronto soccorso.
Nelle more dell'attivazione, a pieno regime, della rete traumatologica regionale tempo dipendente, disegnata dal Piano ospedaliero (che prevede l'istituzione di un trauma center in tutte le province campane), tutti i pazienti politraumatizzati maggiori devono essere trasportati con i mezzi di soccorso del 118 presso i dipartimenti di emergenza (Dea) regionali più complessi (denominati di II livello). Ossia il Cardarelli a Napoli, il Sant'Anna e San Sebastiano a Caserta, il Rummo a Benevento, il Moscati ad Avellino, il Ruggi a Salerno e il Santobono per i pediatrici. Ciò al fine di centralizzare le cure nei luoghi di assistenza definitivi dove esistono tutte le competenze e discipline mediche deputate a casi complessi in immediato pericolo di vita. Un modello organizzativo che riducendo i tempi di trattamento e la necessità di ulteriori trasferimenti permette di aumentare le probabilità di sopravvivenza. Ma non è tutto: gli altri ospedali dotati di Pronto soccorso, ovvero di Dea di I livello (come il Loreto Mare, il Pellegrini, il San Giovanni Bosco e altri) devono lavorare prevedere dei trauma team periferici che, sotto la regia delle direzioni sanitarie, sono deputati ad entrare in azione, in caso di necessità, secondo precise modalità organizzative e operative laddove giunga in pronto soccorso un paziente con mezzi propri. Squadre di pronto intervento che devono però fare i conti con le attuali limitatezze di personale della Asl Napoli 1 concentrata nell'apertura dell'ospedale del mare dove ci sarà un secondo Hub per i traumi. Un altro tassello atteso per realizzare la rete è il pronto soccorso del Cto atteso all'apertura il 23 aprile. Tutte misure che tendono a rendere massime le percentuali di sopravvivenza nei di gravi traumi che contano in letteratura un'alta mortalità anche con la migliore assistenza. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino