Morto Dario fo, il sindaco Marone gli consegnò le chiavi della città

Morto Dario fo, il sindaco Marone gli consegnò le chiavi della città
​«Bassolino l'inarrestabile: prima sindaco, poi ministro, ora presidente della Regione, domani chissà cos'altro. È un po' come me, non si ferma...

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​«Bassolino l'inarrestabile: prima sindaco, poi ministro, ora presidente della Regione, domani chissà cos'altro. È un po' come me, non si ferma mai. E questo, vi assicuro, è un gran bene». Dario Fo salutò così «l'amico Antonio», poi il sindaco e la Giunta napoletana che lo accolse a Palazzo San Giacomo. Un'occasione ufficiale, ma disinvolta: il sindaco Riccardo Marone regalò al premio Nobel un Pulcinella, opera di Lello Esposito, consegnandogli simbolicamente le chiavi della città. 


Raccontò in quella circostanza l'attore: «Avevo fissato già altri impegni in questi giorni, ma poi Franca, che è il vero capofamiglia, ha deciso: devi andare a Napoli! E allora eccomi: sono da sempre legato a questa città. Il mio primo spettacolo a Napoli l'ho fatto che avevo appena 24 anni. E ci sono sempre ritornato, trovando un pubblico attento, partecipe, anche quando proponevo spettacoli che in altri posti avevano registrato un'accoglienza tiepida». «Oggi Napoli è molto, molto cambiata», aggiunse, «è una città attenta alla cultura più di Milano e di tante altre città del Nord, dove chi amministra ha ben altri valori, pensa al denaro più che alle idee. È finita l'epoca della Napoli furba e sfruttata, del «ccà nisciuno è fesso», del cittadino che delegava agli altri il potere di decidere la propria sorte e che allo stesso tempo pensava di poter infischiarsene di regole e divieti».


Fo era un fan del rinascimento bassoliniano: «Napoli è stata per secoli usurpata, succhiata, schiacciata: oggi è una città che si sa governare. I tempi del pacco di pasta laurino sembrano appartenere al medio Evo. E la trasformazione è evidente. Girando per le strade ho visto palazzi e piazze restaurate, ho fatto domande alla gente e mi sono accorto che oggi esiste una coscienza diversa». Napoli, la sua cultura, la sua lingua. E Viviani, «un autore di sensibilità raffinatissima che lo faceva viaggiare in tutta Europa per vivere in prima persona quello che stava succedendo». Poi i ricordi, quelli degli anni passati al fianco di Eduardo nell'impegno comune per i ragazzi dei Nisida: «De Filippo era un uomo speciale, eravamo amici, uniti dall'impegno ma anche da una profonda stima reciproca». 
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Il Mattino