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È morto mercoledì scorso, a soli tre anni, Simba, il bimbo nato in una baracca da una madre e salvato da un assistente sociale per essere portato nella comunità Casa di Matteo, dove ha vissuto sin dopo la sua nascita. Era stato soprannominato con il nome del personaggio del film Il Re Leone della Dinsey proprio per la sua straordinaria voglia di vivere. Fatale l'aver succhiato nei primi giorni di vita il latte materno ricco di sostanze stupefacenti, proprio quelle sostanze avevano portato quel piccolo scricciolo sin dalla nascita ad avere gravi problemi di salute. Eppure, proprio per quella istintiva tenacia di sopravvivenza, il piccolo era riuscito a tenere duro anche grazie all'amorevole accoglienza ricevuta nella comunità napoletana. La sua storia ha commosso l'intera città, anche per questo oltre ai volontari della Casa di Matteo, il dolore è stato fortissimo per chi ha seguito la vicenda.
«Non avremmo mai voluto dirvelo: il nostro piccolo Simba - hanno scritto dalla Casa di Matteo - non ce l'ha fatta. Vi chiediamo scusa per non essere riusciti a trovare parole meno dirette e crude, ma a questo dolore non ci si abitua mai e la sofferenza è sempre più atroce. È successo tutto improvvisamente, come altre volte. Ma questa volta non ce l'abbiamo fatta.
«Simba - ha scritto su Facebook l'assessore comunale di Napoli, Luca Trapanese, che della Casa di Matteo è stato il fondatore nel 2007 - è morto sereno ed amato nella casa che lo ha accolto dalla nascita. È morto tra le braccia di Marco (promotore della Casa di Matteo) che lo ha voluto accompagnare in questo momento importante. Siamo fortunati che ci sia una realtà simile e delle persone che la portano avanti con amore e dedizione e non come un semplice lavoro». Una commozione fortissima anche nei commenti sui social e di quanti sostengono la forza di questi volontari costretti ogni giorno a confrontarsi con storie che spezzano il cuore. «Ringraziamo - dicono dalla Casa di Matteo - chiunque abbia amato Simba, da vicino, da lontano. Siamo sicuri che anche il piccolo Re della Foresta vi abbia voluto bene».
Ieri in tanti hanno voluto dare al piccolo l'ultimo saluto nella Parrocchia dell'Addolorata in Via Pigna. «La sua storia - spiega Trapanese - è il simbolo di una sinergia enorme tra comunità, servizi sociali, Tribunale. Lui è stato salvato da un assistente sociale dentro una baracca, dove era nato. La madre aveva problemi di tossicodipendenza e alcol. Se non fosse stato per quell'assistente sociale, sarebbe morto lì. Grazie a questa sinergia poi abbiamo seguito la mamma e altri bambini sono stati dati in adozione».
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