Non era una colica renale, neppure una lombosciatalgia. Niente di tutto questo: la donna morta al Vecchio Pellegrini portava in grembo un feto di almeno 30 settimane, con oltre...
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Ma proviamo a fare un passo indietro, a partire da quanto avviene il 15 gennaio scorso, quando per la prima volta Anna si rivolge al Vecchio Pellegrini: accusa dolori lancinanti all'addome, ma il suo caso viene trattato in codice verde. Atteggiamento rassicurante al Vecchio Pellegrini, con due medici che visitano la trentaseienne, per poi dimetterla. Lombosciatalgia è la diagnosi finale, che spinge i medici a prescrivere una cura a base di antidolorifici. Due giorni di riposo, poi di nuovo quei dolori, che rendono necessaria una nuova corsa in ospedale. Diciotto gennaio scorso, non c'è nulla da fare, Anna muore poco dopo il secondo ricovero. Inchiesta condotta dal pm Capasso, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Lucantonio, ci sono due medici indagati per omicidio colposo.
Rabbia e dolore tra i familiari di Anna, che hanno battuto su un punto in particolare: la mancanza di un accertamento approfondito durante la prima visita della donna, il 15 gennaio scorso.
Spiegano gli avvocati Angelo e Sergio Pisani, difensori dei parenti di Anna: «Sarebbe bastata un'ecografia e la ragazza si sarebbe potuta salvare attraverso un intervento chirurgico». E invece la decisione di prescrivere degli analgesici sembra essere stata fatale, perché quei medicinali hanno solo alleviato per qualche ora il dolore, scatenando una infezione risultata fatale. Restano sul terreno però tutti gli interrogativi possibili. La donna non sapeva di essere rimasta incinta, ma non sembra avesse segnalato ritardi nel ciclo mestruale. Viene da un contesto culturale pienamente integrato nella società civile napoletana, non avrebbe alcun problema a parlare di uno stato «interessante» prematrimoniale. Di sicuro non ha fatto alcun cenno a possibili gravidanze ai medici che l'hanno visitata, in uno scenario che sembrava di ordinaria amministrazione sin dalla prima fase del primo ricovero. Il resto spetta agli inquirenti metterlo a fuoco. Desiderosi di conoscere nuovi elementi anche i due medici del Vecchio Pellegrini coinvolti in questa vicenda, due professionisti che ieri hanno nominato i loro consulenti in vista di un probabile processo.
Ma torniamo a quanto emerso ieri pomeriggio dalla ricognizione effettuata in sede di esame autoptico al secondo policlinico. Quella riscontrata dai periti e consulenti non era una gravidanza extrauterina, circostanza purtroppo non rara e che rende necessari interventi tempestivi, ma la presenza di un «feto ritenuto» all'interno dell'utero. Secondo quanto sostengono le parti in causa, sarebbe bastata tastare l'addome della giovane donna per verificare qualcosa di anomalo. Oppure sarebbe stato utile procedere con una radiografia e, in un secondo momento, tentare il tutto per tutto con un intervento chirurgico. Ipotesi, solo ipotesi, al momento, che lasciano ancora più sgomenti di fronte alla giovane vita spezzata di una donna che si era rivolta in ospedale ed è stata dimessa con un semplice analgesico. Sognava una vita normale, accanto al proprio uomo, che avrebbe sposato di qui a qualche mese. Sognava di mettere su famiglia, mai avrebbe immaginato di essere stroncata da un feto andato in necrosi, nel corso di una gravidanza che lì nell'ospedale della Pignasecca nessuno è riuscito a notare. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino