Il colpo di scena - parliamo della vera svolta del processo - è arrivato in prima mattinata. Poche righe lette dal giudice Marina Ferrara per un atto coraggioso, che sa di...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Sia «Kekko» sia «Genny P.» hanno messo in scena una sorta di scaricabarile, con versioni finalizzate solo a limitare i danni. Hanno dichiarato che sì in fondo erano presenti nel gruppo che ha aggredito Arturo, ma che erano voltati dalla parte opposta quando il ragazzo è stato pugnalato. Nessuno dei due è stato inoltre in grado di dare indicazioni su chi avesse sferrato le decine di pugnalate al torace e al collo di Arturo. Scaricabarile, parole di comodo, melina processuale.
Udienza carica di tensione, anche per la mancanza di una videocamera per registrare le ultime fasi del processo, è toccato poi alla requisitoria del pm La Ragione: ha chiesto sedici anni per Genny P., unico dei tre a negare le accuse, a protestare la propria innocenza (difeso dalla penalista Giulia Esposito); e dodici anni per gli altri due, che comunque avevano scelto la strada della collaborazione spezzatino.
Decisivi gli accertamenti degli uomini della Mobile del primo dirigente Luigi Riella, in un'inchiesta che ha fatto leva anche sulla coraggiosa testimonianza dello stesso Arturo. Difeso dal penalista Emireno Valteroni, «Kekko» vive in comunità, a differenza degli altri due imputati che sono invece detenuti nel carcere di Nisida. Primo ad essere arrestato, ma anche al centro di polemiche in questi mesi, per il suo atteggiamento beffardo mostrato dopo la scarcerazione, durante il soggiorno in comunità. Ricordate? Rideva e ostentava un atteggiamento irridente durante un video fatto da un compagno di istituto. Ed è a questo atteggiamento che fa riferimento Maria Luisa Iavarone, la madre di Arturo, a cui spetta il merito di aver sensibilizzato l'opinione pubblica sulla violenza subita dal figlio in via Foria lo scorso dicembre.
Spiega la donna, dopo aver atteso la sentenza volutamente lontano dal Tribunale: «La magistratura ha risposto in maniera molto rigorosa. Spero intraprendano un percorso che li restituisca alla società come persone cambiate. Oggi, in verità, questa volontà di cambiamento non è emersa, purtroppo. Arturo è rimasto deluso, si aspettava che le richieste del pm La Ragione venissero accolte o quanto meno che le pene potessero essere più pesanti. Con il magistrato Arturo ha avuto un rapporto diretto, con lui si è confrontato tante volte, nel corso delle indagini. Io gli ho fatto capire, però, che quasi dieci anni sono comunque un periodo lungo durante il quale questi ragazzi possono cambiare, maturare e capire quello che hanno fatto. Abbiamo atteso la sentenza lontano dal Tribunale, io al lavoro e Arturo a scuola, nel rispetto dei giudici e delle parti in causa».
Cala il sipario del primo grado di giudizio, ma non si tratta di un caso chiuso, anche alla luce delle indagini chieste dall'avvocato Carla Maruzzelli, difensore di Ciro T., il quarto indagato non imputabile in quanto under 14. Verifiche sul cellulare di Ciro T. che sostiene di avere un alibi, quel 18 dicembre scorso - dice - giocava a calcio in parrocchia. Il caso Arturo non è chiuso del tutto. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino