Babygang Arturo, tre condanne: il giudice dice no al perdono

Babygang Arturo, tre condanne: il giudice dice no al perdono
di Leandro Del Gaudio
Sabato 10 Novembre 2018, 08:00
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Il colpo di scena - parliamo della vera svolta del processo - è arrivato in prima mattinata. Poche righe lette dal giudice Marina Ferrara per un atto coraggioso, che sa di inedito, in un palazzo di giustizia dove in altre occasioni è stato concesso perdono facile. In sintesi, ieri il giudice ha detto no alla messa alla prova dei tre minori imputati del tentato omicidio di Arturo, lo studente ferito alla gola e al torace un anno fa in via Foria: «Troppo gravi le accuse, troppo scarne le ammissioni di un paio di imputati. Che si faccia il processo», ha chiarito il giudice. Ed è stata la svolta. Alle due di ieri pomeriggio la condanna: nove anni e tre mesi a carico di tre minori accusati di essere gli aggressori di Arturo, i componenti di un branco composto anche da un altro soggetto, che colpirono con decine di coltellate uno studente inerme, nel caos della movida prenatalizia di un anno fa. Era il 18 dicembre scorso, poco dopo le sei di sera, in via Foria. Ieri le tre condanne per tentato omicidio e per la tentata rapina del cellulare di Arturo: mano pesante, dunque, (calcolando che il rito abbreviato scelto dagli imputati prevede lo sconto a monte di un terzo della condanna), per tutti e tre imputati. Nove anni e tre mesi per F.P.C. meglio conosciuto come «Kekko», ma anche per gli altri due presunti complici, tutti con storie familiari da brividi. Nove anni e tre mesi per A.R., (parente del presunto assassino dello studente universitario Claudio Taglialatela, che si tolse la vita in carcere in circostanze misteriose); nove anni e tre mesi anche per Genny P., unico del terzetto a non fare ammissioni. Inchiesta del pm Ettore La Ragione, con il coordinamento della stessa procuratrice Maria De Luzemberger, la storia delle dichiarazioni di comodo e parziali è stata il fattore decisivo che ha spinto il giudice a rigettare la richiesta di messa alla prova.
 
Sia «Kekko» sia «Genny P.» hanno messo in scena una sorta di scaricabarile, con versioni finalizzate solo a limitare i danni. Hanno dichiarato che sì in fondo erano presenti nel gruppo che ha aggredito Arturo, ma che erano voltati dalla parte opposta quando il ragazzo è stato pugnalato. Nessuno dei due è stato inoltre in grado di dare indicazioni su chi avesse sferrato le decine di pugnalate al torace e al collo di Arturo. Scaricabarile, parole di comodo, melina processuale.

Udienza carica di tensione, anche per la mancanza di una videocamera per registrare le ultime fasi del processo, è toccato poi alla requisitoria del pm La Ragione: ha chiesto sedici anni per Genny P., unico dei tre a negare le accuse, a protestare la propria innocenza (difeso dalla penalista Giulia Esposito); e dodici anni per gli altri due, che comunque avevano scelto la strada della collaborazione spezzatino.

Decisivi gli accertamenti degli uomini della Mobile del primo dirigente Luigi Riella, in un'inchiesta che ha fatto leva anche sulla coraggiosa testimonianza dello stesso Arturo. Difeso dal penalista Emireno Valteroni, «Kekko» vive in comunità, a differenza degli altri due imputati che sono invece detenuti nel carcere di Nisida. Primo ad essere arrestato, ma anche al centro di polemiche in questi mesi, per il suo atteggiamento beffardo mostrato dopo la scarcerazione, durante il soggiorno in comunità. Ricordate? Rideva e ostentava un atteggiamento irridente durante un video fatto da un compagno di istituto. Ed è a questo atteggiamento che fa riferimento Maria Luisa Iavarone, la madre di Arturo, a cui spetta il merito di aver sensibilizzato l'opinione pubblica sulla violenza subita dal figlio in via Foria lo scorso dicembre.

Spiega la donna, dopo aver atteso la sentenza volutamente lontano dal Tribunale: «La magistratura ha risposto in maniera molto rigorosa. Spero intraprendano un percorso che li restituisca alla società come persone cambiate. Oggi, in verità, questa volontà di cambiamento non è emersa, purtroppo. Arturo è rimasto deluso, si aspettava che le richieste del pm La Ragione venissero accolte o quanto meno che le pene potessero essere più pesanti. Con il magistrato Arturo ha avuto un rapporto diretto, con lui si è confrontato tante volte, nel corso delle indagini. Io gli ho fatto capire, però, che quasi dieci anni sono comunque un periodo lungo durante il quale questi ragazzi possono cambiare, maturare e capire quello che hanno fatto. Abbiamo atteso la sentenza lontano dal Tribunale, io al lavoro e Arturo a scuola, nel rispetto dei giudici e delle parti in causa».

Cala il sipario del primo grado di giudizio, ma non si tratta di un caso chiuso, anche alla luce delle indagini chieste dall'avvocato Carla Maruzzelli, difensore di Ciro T., il quarto indagato non imputabile in quanto under 14. Verifiche sul cellulare di Ciro T. che sostiene di avere un alibi, quel 18 dicembre scorso - dice - giocava a calcio in parrocchia. Il caso Arturo non è chiuso del tutto.
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