Non avevano accettato l'interferenza del boss della Sanità in vicende di natura privata, legate a fatti sentimentali della propria famiglia. Non avevano accolto di buon...
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Decisivo il lavoro dei carabinieri della compagnia Stella e del comando provinciale guidato dal generale Ubaldo del Monaco, che hanno valorizzato accertamenti tecnici sulle immagini ricavate da una telecamera privata. È così che sono stati riconosciuti un tatuaggio, un anello d'oro, alcuni indumenti, ma anche l'andatura dei due aggressori che hanno fatto incursione nel bar e alcuni segni distintivi dello stesso Salvatore Savarese rimasto in sella allo scooter.
Non si tratta di un'azione riconducibile a paranze di minori o a boss in erba. In questo caso, a dare l'investitura al danneggiamento del bar è lo stesso Salvatore Savarese, che resta in sella allo scooter con tanto di pistola in bella mostra: la impugna come se fosse pronto a sparare, anche se tiene la canna puntata verso il basso. Non è un personaggio di secondo livello - riflettono gli inquirenti - ma un uomo che deve la sua popolarità (anche a livello nazionale) per una circostanza che risale a quasi venti anni fa: alla fine degli anni Novanta, Salvatore Savarese aveva condiviso le ore di socialità con il capo della mafia Totò Riina, intrecciando lunghe chiacchierate con il padrino di Cosanostra e giocando a carte.
Ma cosa ci fa un personaggio con questo passato criminale all'esterno di quel bar nel borgo Vergini? Andiamo con ordine, a rivedere la scena dell'incursione. Savarese jr e Mansueto scatenano rabbia e paura: scaraventano a terra un contenitore di caramelle, che poi viene scagliato contro il bancone, poi calci ad un altro scaffale mobile che contiene generi alimentari, qualche parola minacciosa verso i titolari del locale. Un paio di clienti provano a nascondersi all'interno della toilette, temendo anche l'esplosione di colpi di arma da fuoco, immobili i titolari della famiglia Romeo, fino a quando gli aggressori lasciano la scena. Secondo il gip Iaselli, la reazione dei commercianti conferma il clima di terrore imposto dal clan. Quando arrivano i carabinieri, i proprietari del locale negano l'evidenza, raccontano di essere intenti a fare delle pulizie. E non è tutto. Dicono di avere l'impianto di videosorveglianza rotto (anche se le immagini saranno recuperate in un secondo momento, ndr), tacciono sulla violenza subita. Chiaro invece il movente del raid: i proprietari del locale hanno provato a respingere l'interferenza del boss su fatti personali, provocando la discesa in campo di chi temeva di perdere la propria autorità agli occhi del borgo dei Vergini. E hanno subìto così la «serrata» del proprio negozio, a titolo puramente dimostrativo. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino