Napoli, arrestato il boss del rione Sanità: la vendetta dopo il rifiuto dei consigli di cuore

Napoli, arrestato il boss del rione Sanità: la vendetta dopo il rifiuto dei consigli di cuore
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 20 Luglio 2018, 07:00 - Ultimo agg. 12:02
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Non avevano accettato l'interferenza del boss della Sanità in vicende di natura privata, legate a fatti sentimentali della propria famiglia. Non avevano accolto di buon grado la «sentenza» sputata dal boss Salvatore Savarese su una questione di cuore - una vicenda legata al fidanzamento di uno dei propri parenti -, reclamando piena autonomia di fronte alla camorra per le questioni personali. Insomma, hanno negato al boss ogni autorità su questioni di cuore, su fatti e sentimenti che nulla hanno a che vedere con le logiche ordinarie della camorra. Ed è questo il motivo per il quale sono stati puniti. Cinquanta giorni fa - era il primo giugno scorso - i proprietari di un bar della Sanità finiscono al centro di una rappresaglia organizzata dalla camorra, imposta dal boss Salvatore Savarese, desideroso di riaffermare la propria forza anche su vicende che nulla hanno a che spartire con traffici criminali. Partecipa a un raid in cui viene semidistrutto il bancone del bar, si mostra armato all'esterno del locale, prova a riappropriarsi del proprio ruolo di «sindaco del rione Sanità», che gli impone di dettare legge anche su fatti di cuore. Ma andiamo con ordine a partire dagli arresti firmati dal gip Isabella Iaselli, al termine delle indagini condotte dai pm anticamorra Urbano Mozzillo ed Enrica Parascandolo, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. Oltre a Salvatore Savarese (del 1953), finiscono in cella anche il figlio Marco Savarese (classe 1983) e il loro presunto complice Ferdinando Mansueto (classe 1980), mentre non sono stati identificati gli altri tre componenti del commando.
 

Decisivo il lavoro dei carabinieri della compagnia Stella e del comando provinciale guidato dal generale Ubaldo del Monaco, che hanno valorizzato accertamenti tecnici sulle immagini ricavate da una telecamera privata. È così che sono stati riconosciuti un tatuaggio, un anello d'oro, alcuni indumenti, ma anche l'andatura dei due aggressori che hanno fatto incursione nel bar e alcuni segni distintivi dello stesso Salvatore Savarese rimasto in sella allo scooter.

Non si tratta di un'azione riconducibile a paranze di minori o a boss in erba. In questo caso, a dare l'investitura al danneggiamento del bar è lo stesso Salvatore Savarese, che resta in sella allo scooter con tanto di pistola in bella mostra: la impugna come se fosse pronto a sparare, anche se tiene la canna puntata verso il basso. Non è un personaggio di secondo livello - riflettono gli inquirenti - ma un uomo che deve la sua popolarità (anche a livello nazionale) per una circostanza che risale a quasi venti anni fa: alla fine degli anni Novanta, Salvatore Savarese aveva condiviso le ore di socialità con il capo della mafia Totò Riina, intrecciando lunghe chiacchierate con il padrino di Cosanostra e giocando a carte.
 
Ma cosa ci fa un personaggio con questo passato criminale all'esterno di quel bar nel borgo Vergini? Andiamo con ordine, a rivedere la scena dell'incursione. Savarese jr e Mansueto scatenano rabbia e paura: scaraventano a terra un contenitore di caramelle, che poi viene scagliato contro il bancone, poi calci ad un altro scaffale mobile che contiene generi alimentari, qualche parola minacciosa verso i titolari del locale. Un paio di clienti provano a nascondersi all'interno della toilette, temendo anche l'esplosione di colpi di arma da fuoco, immobili i titolari della famiglia Romeo, fino a quando gli aggressori lasciano la scena. Secondo il gip Iaselli, la reazione dei commercianti conferma il clima di terrore imposto dal clan. Quando arrivano i carabinieri, i proprietari del locale negano l'evidenza, raccontano di essere intenti a fare delle pulizie. E non è tutto. Dicono di avere l'impianto di videosorveglianza rotto (anche se le immagini saranno recuperate in un secondo momento, ndr), tacciono sulla violenza subita. Chiaro invece il movente del raid: i proprietari del locale hanno provato a respingere l'interferenza del boss su fatti personali, provocando la discesa in campo di chi temeva di perdere la propria autorità agli occhi del borgo dei Vergini. E hanno subìto così la «serrata» del proprio negozio, a titolo puramente dimostrativo.
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