Quella che vedete è una foto che spero ricorderemo almeno per qualche tempo: un cane è accucciato accanto alle macerie. Siccome siamo portati a proiettare i nostri...
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Che lo sia davvero o non lo sia per niente, non ha importanza, perché foto e momenti come questi sono moltiplicatori di empatia. Durante i drammi, se escludiamo quelli che fanno la parte dei razzisti, siamo davvero e profondamente sensibili, tutto ci emoziona: i racconti, i salvataggi, la notte che scende sulle case abbattute, il sole che sorge sulle macerie, i piccoli gesti che diventano significativi. Anche i soccorritori, talvolta, si lasciano andare alla commozione e noi con loro. Insomma, l’emozione è come un’onda delicata e gentile che avvolge ogni cosa, ci trasporta e ci scioglie. E muove molte cose, tanto è vero che le persone partono come volontari senza pensarci due volte, scavano senza provare stanchezza, donano il sangue se ce n’è bisogno. Sì, in drammi come questi mostriamo compassione e attenzione, siamo disposti a sacrificare qualcosa di noi per gli altri, assomigliamo, insomma, un po’ come quel cane, anche noi vicino alla macerie, affranti e sensibili. L’emozione è alla base dei nostri ragionamenti, senza l’emozione la ragione nemmeno si attiva, e dall’altra parte tendiamo a diffidare di quelli che ragionano senza mostrare alcuna emozione.
Quindi fra un po’ di tempo, quando l’attenzione sui fatti di Ischia fisiologicamente sarà scesa, il calore dell’emozione evaporato, potremmo utilizzare ancora questa foto per ricordarci di una cosa: è possibile salvarsi da un terremoto. Si può fare. Non è un’impresa ardua. Decenni e decenni di cultura ingegneristica ci hanno insegnato tante cose e siamo sempre più capaci di costruire case a prova di scossa. Sembra strano, ma è più difficile salvare una famiglia da sotto le macerie che impedire il crollo di una casa. L’importante è pensarci prima, quando, però, non circolano più i racconti di fatti tragici o di salvataggi che hanno del miracoloso e nessun cane si accuccia vicino le macerie, ecco, è allora, a freddo, che bisogna pensarci. A caldo siamo emozionati e talvolta polemici e indignati. Il rischio è credere di essere più sapienti e intelligenti degli altri.
Diventiamo tutti patologi, pronti a commentare il danno visibile sul campo.
Il Mattino