Napoli, Raffaele da rapinatore a pizzaiolo: «Iniziai per gioco a 13 anni, è stata dura ma sono salvo»

Napoli, Raffaele da rapinatore a pizzaiolo: «Iniziai per gioco a 13 anni, è stata dura ma sono salvo»
«Se tre minorenni sparano contro le forze dell'ordine dopo una rapina, è lo Stato che ha fallito». Per Raffaele Criscuolo, 26 anni, convivente e papà...

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«Se tre minorenni sparano contro le forze dell'ordine dopo una rapina, è lo Stato che ha fallito». Per Raffaele Criscuolo, 26 anni, convivente e papà di un bimbo di 6 anni, la colpa dell'aggressione dei tre baby rapinatori che in via Cairoli hanno fatto fuoco sulla polizia, è di chi «non fa prevenzione per garantire loro un'alternativa al futuro». Ex baby rapinatore dei Quartieri Spagnoli, Raffaele oggi ha cambiato vita e ha scelto di anteporre un lavoro onesto al guadagno facile, quello che ancora adolescente lo portò dietro le sbarre nel carcere minorile di Nisida. 

Che effetto ti fa sentire di ragazzini che a 14, 15 e 16 anni escono per compiere una rapina in un supermercato e dopo arrivano a sparare contro agenti di polizia?
«Non mi meraviglia. Ormai da almeno 10 è la quotidianità che viviamo in questa città. Non solo tra delinquenti e forze dell'ordine, ma tra bande rivali e di quartieri opposti sono episodi diventati la normalità».

Come si arriva a un gesto simile a quell'età?
«Per questi giovani le forze dell'ordine non rappresentano lo Stato, ma un nemico e la colpa è dello Stato stesso che non approva leggi più severe. Oggi si arresta una persona per tentato omicidio o per spaccio di stupefacenti e dopo pochi mesi torna in libertà. Vanno rieducate le istituzioni».

Quando hai iniziato a delinquere?
«A 13 anni. Mia mamma è rimasta incinta di mio fratello maggiore a 16 anni e ci ha cresciuti con grossi sacrifici senza un padre. La mia infanzia l'ho passata coi nonni, che hanno sempre lavorato onestamente, ma non avevano tempo da dedicarci. Mi sono fermato al diploma di terza media, che quasi mi hanno regalato perché ero irrequieto, ma mi hanno promosso poiché avevo la passione del disegno».

Poi?
«A un certo punto quasi per gioco ho iniziato a fare rapine. Per lo più orologi. La prima volta che mi arrestarono vennero a prendermi alle 4 del mattino e mi portarono a Nisida, dove sono rimasto per un anno e mezzo. Avevo poco più di 14 anni. Ma una volta uscito dal carcere non ho trovato nessuno che mi aiutasse».

Cosa intendi dire?
«Il programma di rieducazione dovrebbe proseguire una volta scontata la pena. Altrimenti inutile parlare di inclusione e reinserimento. Se non ci sono opportunità di sicuro quel ragazzo tornerà a delinquere».

Chi ti ha salvato?
«La mia compagna Martina: l'unica che per la prima volta ha creduto in me. Poi mio figlio Camillo. La sua nascita è stata la separazione tra me e l'illegalità».

Come si deve intervenire invece per prevenire la criminalità giovanile?
«Offrendo un'alternativa. Dove sono i genitori? Per un bambino il super eroe chi è? Il papà, ma se il genitore è un delinquente il figlio emulerà il padre. Dove sono i servizi sociali?».

Oggi come vivi?
«Faccio tanti lavori, dal pizzaiolo al tatuatore, ma vorrei una stabilità che a Napoli non esiste. Qui se lavori o sei sottopagato o, peggio, a nero. Ho deciso di andare in California nel ristorante di amici».

Una resa dunque?
«Avrei voluto aprire un locale, ma non te lo permettono. Qui non si vive, si sopravvive».

Un messaggio per i ragazzi che delinquono?


«Inseguite le vostre passioni, quelle sane e siate artefici del vostro futuro».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino