Napoli, de Magistris: «La Consulta rischia di far fallire il Comune. Manfredi? Meglio Fico»

Sindaco de Magistris, nei suoi dieci anni al Comune il debito è quasi raddoppiato arrivando alla cifra record di 2,7 miliardi di euro. Perché? ...

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Sindaco de Magistris, nei suoi dieci anni al Comune il debito è quasi raddoppiato arrivando alla cifra record di 2,7 miliardi di euro. Perché?


«Il debito non è aumentato per nostre scelte discrezionali ma per un combinato disposto tra deficit ereditato dal passato - terremoto ed emergenza rifiuti - norme nazionali modificate e tagli di 1,5 miliardi di trasferimenti dallo Stato. Ma il colpo di grazia è arrivato con la sentenza della Corte Costituzionale che ha chiesto ai sindaci di spalmare il debito non più in 30 ma addirittura in uno o al massimo in tre anni. Significa far fallire di colpo 2mila Comuni italiani. Cosa che sarebbe accaduta a fine aprile se non mi fossi intestato la battaglia per far slittare di un mese i termini per l’approvazione dei bilanci».

Ma il Comune è di nuovo a rischio default anche perché non è riuscito a valorizzare o alienare il patrimonio né a incrementare la riscossione di tasse e multe e a far pagare i biglietti dei bus. Così Palazzo San Giacomo resta aggrappato a una norma del Governo mentre in Consiglio comunale da tempo non c’è più una maggioranza. Come si va avanti in queste condizioni?
«Il Governo è consapevole della necessità di una norma che non è certo un salva-Napoli ma un salva-tutti, mentre in passato leggi ad hoc sono state fatte per Reggio Calabria, Roma, Torino, Catania. Sulla riscossione avevamo dato segnali positivi, che ci sono stati riconosciuti da Governo e Corte dei Conti, fino alla pandemia. Quanto all’alienazione del patrimonio, non è mai semplice, anche perché ci dev’essere qualcuno che i beni li acquista. E non volevo certo passare alla storia come il sindaco che ha svenduto Castel dell’Ovo... L’approvazione di un bilancio è politicamente sempre un atto difficile ma sono fiducioso sul fatto che i consiglieri comunali lo approveranno anche stavolta perché non farlo significherebbe non poter garantire più i servizi ai napoletani e bloccare le assunzioni nelle partecipate che noi abbiamo messo in sicurezza». 

Lei ha un feeling con Fico. Cosa pensa di Manfredi? Se l’ex ministro si candida la Clemente, che ha spaccato il mondo arancione, resta in campo?
«Il percorso è ancora lungo, fino a qualche giorno fa anche dalle interlocuzioni romane che ho avuto sembrava quasi certa la candidatura di Fico perché considerata vincente. Noi puntiamo su Alessandra Clemente, la nostra è una candidatura seria, fresca, competitiva e lo sta diventando ancora di più di fronte alla confusione evidente tra Pd e M5S. Tra tutti i candidati, escludendo chiaramente Clemente, Fico è quello che ha maggiori affinità con il nostro mondo, i nostri elettori non capirebbero se non ci fosse un’intesa con lui. Con Manfredi, invece, vedo una distanza forte tra lui e Alessandra, non sulla persona perché ho grande stima di Manfredi, che sarebbe un candidato autorevole e di tutto rispetto, ma la “bollinatura” di De Luca non aiuta, è pesante. Poi mi lascia un po’ perplesso quel “pentolone” che riunisce tutti, da Mastella a De Luca ad alcune componenti della sinistra, sembra un accrocchio della vecchia politica. Roberto candidato sarebbe un elemento di maggiore equilibrio». 


E il suo ex collega Maresca? Lo voterebbe? O magari voterebbe Bassolino...
«Non scherziamo, io voto Alessandra Clemente. Bassolino ha sbagliato a ricandidarsi, ormai il suo è un ciclo politico chiuso, anzi ci costringe di nuovo a ricordare che i vecchi debiti e i problemi sui rifiuti nascono da quella stagione. Però lo rispetto per l’entusiasmo e la voglia che ha di metterci la faccia. Maresca ha commesso due errori: fare campagna elettorale senza dismettere la toga, anche la magistratura doveva essere più netta; e poi avere alle spalle il marchio molto forte del centrodestra, si pensi agli endorsement di Salvini. È partito male. Se si fosse candidato con un’impronta realmente civica ma dismettendo subito la toga avrebbe potuto convincere gli elettori. Ha perso un’occasione».


Anche in Calabria lei ha scelto di correre in solitaria, senza partiti alle spalle. La stessa scelta che però a Napoli l’ha portata all’isolamento. 
«L’esperienza napoletana è stata di autonomia e allargamento, semmai di isolamento rispetto ai partiti tradizionali ma di ampia partecipazione popolare e di coinvolgimento di nuove energie. In Calabria sono sceso in campo a capo di una coalizione civica, larga e plurale, che schiererà otto-dieci liste e che si presenta in maniera dirompente per rompere equilibri politici che durano da 40 anni. Il risultato è una collusione devastante tra politica e ndrangheta e l’incapacità di garantire servizi minimi essenziali. In Calabria si gioca davvero la questione meridionale. Ribalteremo l’immagine di una regione dimenticata e mortificata e ciò farà bene a Napoli, al Sud e al Paese. Dopo la vittoria si potrebbe anche pensare ad un laboratorio politico: noi siamo un’opportunità per l’allargamento invocato da tante forze a livello nazionale in vista delle Politiche del 2023». 


La critica forse più netta che lei ha ricevuto riguarda lo scontro con il governatore De Luca. È consapevole che ciò ha danneggiato la città e i napoletani? Come si può amministrare la terza città d’Italia in una conflittualità permanente con tutti i livelli politici e istituzionali, compresi presidente del Consiglio e capo dello Stato?
«Complessivamente abbiamo costruito livelli di cooperazione istituzionale che ci riconoscono tutti. Il conflitto non c’è stato con nessun presidente del Consiglio, ad eccezione di Renzi, e lo rivendico con orgoglio perché abbiamo difeso il tentativo di espropriare i poteri costituzionali della città su Bagnoli. Certo, riconosco che non è positivo che sindaco e governatore siano in contrasto. Ma personalmente ho tentato di porgere l’altra guancia e di dialogare nonostante gli attacchi. Lui no. All’inizio ero l’unico a criticarlo, poi ha avuto scontri con le mamme, i docenti, i ministri, con tutti. Persino molti del Pd ammettono riservatamente che ho ragione, anche se non possono dirlo. Ecco perché ora è interessato a mettere le mani sulla città con un candidato a lui vicino. Forse per questo Fico non gli è molto gradito».


In dieci anni lei ha cambiato quasi quaranta assessori in una dozzina di rimpasti. Erano tutti inaffidabili o sono subentrate logiche politiche?
«Credo sia un fatto positivo cambiare tanti assessori. Qualche scelta col senno di poi non l’avrei fatta, ci sono stati incidenti di percorso, mi è dispiaciuto sul piano umano per alcune rotture. Qualche errore c’è stato quando ho ascoltato le forze politiche tradizionali, come nel 2013, il momento forse più difficile».


A Napoli la manutenzione a tutti i livelli scarseggia o è inesistente, qui si muore per caduta di calcinacci, alberi, lampioni. Date per assodate le difficoltà finanziarie, perché non si è realizzato un grande piano di messa in sicurezza? 
«È stata una priorità politica ma per farlo ci vogliono tanti soldi. Abbiamo creato squadre ad hoc come quella del pronto intervento sulle buche di Napoli Servizi e tanti investimenti sulle scuole come non accadeva dal dopo terremoto. È chiaro che non basta ma se si tagliano puntualmente le risorse ai Comuni i conti non tornano più. Non sono entusiasta ma abbiamo fatto il massimo».


Proprio la carenza di manutenzione ha prodotto la follia della galleria Vittoria chiusa da otto mesi. Il lungomare verrà “liberato” di nuovo dalle auto prima della fine del mandato?
«Si è lavorato molto bene sulla galleria soprattutto da fine anno, prima probabilmente da parte delle strutture tecnico-amministrative non c’è stata quella velocità necessaria che il tipo di problema richiedeva, forse c’è stata un po’ di sottovalutazione. Ora stiamo correndo, ho incontrato i vertici dell’Anas, mi hanno assicurato che lavoreranno su tre turni, giorno e notte. L’obiettivo è avviare l’intervento a fine maggio e riaprire una corsia del tunnel a fine giugno, in modo da poter nuovamente pedonalizzare il lungomare senza perdere l’estate».


Alla sua rielezione lei si era impegnato a garantire un miglioramento dei servizi quotidiani ai cittadini, dai trasporti ai rifiuti al decoro urbano. Ciò non è accaduto, anzi negli ultimi anni i servizi sono peggiorati.
«Non sono d’accordo. Abbiamo una flotta autobus quasi totalmente rinnovata, a maggio ripristineremo il filobus eliminato dal sindaco Iervolino, i treni sono andato in Spagna a prendermeli e d’ora in avanti ne arriverà uno al mese. Sui rifiuti abbiamo chiuso le discariche di Chiaiano e Terzigno e tolto la spazzatura dalle strade, ci sono stati ritardi nelle gare del compostaggio ma ormai ci siamo. Insomma il settore funziona, tanto che Roma ha chiesto il nostro aiuto per smaltire i rifiuti della Capitale».


Napoli dà la netta sensazione di essere una città non governata. Parcheggiatori abusivi, tavolini selvaggi, anarchia. Dov’è finito il sindaco della legalità?
«Non sono d’accordo. Fino a febbraio 2020 la città era più sicura, più vivibile, piena di turisti, cultura ed energie, con i reati in diminuzione. Poi è arrivato il Covid e ora sono preoccupato, c’è il rischio che tra insofferenza alle regole e frenesia di ripartire aumenti notevolmente il contagio criminale, come sta già avvenendo in tutta Italia. I parcheggiatori abusivi sono un tema complicato: con un lavoro di squadra con le forze di polizia stiamo ottenendo risultati significativi, tra denunce, sanzioni e allontanamenti con i daspo. E poi abbiamo dotato il 70 per cento della città di telecamere per la videosorveglianza».
In un’intervista al Mattino il procuratore Melillo ha parlato di «borghesia camorrista all’ombra dei clan».

È d’accordo?
«Sì, senza la borghesia mafiosa la mafia di strada sarebbe stata ridotta a una lotta tra bande. Della borghesia mafiosa sono stato vittima quando ero magistrato in Calabria. Ma molti anni dopo la verità è venuta fuori». 


Su altarini e murales dei clan il Comune ha avuto un atteggiamento ambiguo e tuttora sul murale di Ugo Russo si è deciso di non intervenire. Perché? Ci voleva un prefetto non napoletano per scoprire che a Napoli esiste un tema del genere? 


«Abbiamo ascoltato le istanze venute fuori anche con la campagna del Mattino. Gli altarini dei clan sono inaccettabili e devono andare tutti via. Quello di Ugo Russo è un caso particolare. Stiamo arrivando a un risultato straordinario che terrà insieme legalità, rispetto delle regole ma anche sete di verità e giustizia». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino