«I 55 furbetti del cartellino dell'ospedale Loreto Mare di Napoli, colti in fragranza di reato con prove schiaccianti raccolte dal PM Ida Frongillo e ai domiciliari (su...
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«È vero che l'art. 55 del Dlgs 165/01 (la cosiddetta Riforma Brunetta) autorizza il licenziamento per i casi gravi di abusi come questi -spiega il giuslavorista- in cui non si deve più attendere la sentenza passata in giudicato ma si può procedere al licenziamento anche con sentenza non definitiva, ma la prassi delle pubbliche amministrazioni è in senso opposto, ossia quella di sospendere i dipendenti coinvolti e la stessa procedura disciplinare fino alla sentenza penale definitiva che arriverà solo a distanza di molti anni (se non interviene prima il patteggiamento con buona pace della condanna)». Secondo il giuslavorista «il tutto come consentono ancora oggi sia i contratti collettivi di comparto che, per i casi di 'particolare complessità', lo stesso articolo 55 Ter D.Lgs. 165/01 che anche i recenti decreti Madia hanno ritenuto di non modificare come sarebbe stato invece auspicabile. Con la conseguenza, ancora oggi, che in presenza di procedimento penale e magari con l'arresto degli indagati, con buona pace della riforma Madia e della certezza del diritto, la Pa non procederà mai al licenziamento degli indagati, preferendo attendere come sempre accaduto in passato, l'esito definitivo del giudizio penale. Non a caso solo il 3% delle azioni disciplinari si è concluso con un licenziamento su un totale di 8259 procedimenti nel 2015».
«Tale conclusione pare altresì forzata tenuto conto che durante la fase delle indagini penali la Pa datore di lavoro -continua ancora il giuslavorista- non ha neppure accesso alle informazioni ed alle investigazioni del procedimento penale (indagini, riscontri probatori, videoregistrazioni, intercettazioni o altro) indispensabili per poter avviare il procedimento disciplinare (contestazione degli addebiti) e comminare poi un regolare licenziamento, venendo spesso a sapere dei fatti e magari degli arredi dei propri dipendenti unicamente dagli organi di stampa!».
E inoltre «si sarebbe dovuta prevedere esplicitamente la abrogazione di tutte le norme (di miglior favore per gli indagati) contenute nei contratti collettivi di comparto in contrasto con la regolamentazione vincolante contenuta negli art. 55 e ss. Testo unico del pubblico impiego. Non avendolo fatto, al di là dei proclami la Pa resterà nella attuale situazione di immobilismo e di incertezza normativa in cui da sempre si trova». Per Failla «sebbene i recenti decreti Madia (di prossima pubblicazione) consentiranno in futuro il licenziamento anche solo in presenza della sentenza di condanna di primo grado (art. 55 Ter) nessuna Pa si arrischierà a licenziare dei dipendenti in assenza di una condanna definitiva, troppo alto il rischio di una assoluzione poi in appello o un annullamento in Cassazione con il rischio poi di vedersi reintegrare i dipendenti a distanza di anni (con responsabilità magari davanti alla Corte dei Conti)». «Meglio allora attendere -aggiunge- che la 'giustizia penalè faccia il suo (lento) corso con buona pace dei furbetti che al massimo saranno sospesi ma continueranno ad essere pagati come prevedono peraltro quasi tutti i contratti collettivi di comparto siglati dalle organizzazioni sindacali».
Secondo l'esperto «la situazione diventa ancora più paradossale nel caso di patteggiamento ove eventualmente concesso. Come noto per la giurisprudenza più diffusa una eventuale sentenza di patteggiamento in sede penale ex art. 444 c.p.p. non costituisce vera e propria sentenza di condanna. Di conseguenza è pressoché impossibile che un eventuale patteggiamento della pena, ove concesso, possa avere rilevanza quale prova della giusta causa di licenziamento con l'effetto immediato del reintegro in servizio, come spesso accaduto nelle aule dei Tribunali del lavoro in questi anni dove i giudici hanno quasi sempre reintegrato i lavoratori coinvolti».
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Il Mattino