Ha aspettato la fine del processo, poco prima che sulla storia della villa di gomorra affittata dai camorristi calasse il sipario. Ha atteso l’ultimo momento utile per...
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Si va avanti con l’esame dell’imputato: «Fin dal primo momento tutti in Cattleya sapevano che i Gallo non erano persone proprio pulite, anche Gianluca Arcopinto (l’altro imputato, difeso dall’avvocato Cesare Placanica), ma decisero che la villa bunkerata con quegli strani interni era quella giusta e vollero girare lì anche dopo l’arresto del proprietario e il sequestro della casa. Ho sbagliato, ma Cattleya non voleva che si facesse riferimento ai “problemi” che c’erano stati all’inizio».
Una ricostruzione che sembra smentire quanto dichiarato in aula dai vertici della Cattleya, ma anche dal contenuto delle stesse indagini condotte prima a Napoli, poi a Torre Annunziata. Dall’analisi delle intercettazioni, non sono emersi contatti tra «centro» e «periferia», tra i vertici della produzione e i manager locali spediti sul territorio per chiudere la questione del fitto della villa del boss.
Tocca al pm Benincasa, che ha parlato di un «ordine di scuderia» interno all’azienda: il loro obiettivo era negare fino all’inverosimile per preservare la casa cinematografica» (possibile apertura di un fascicolo sulla testimonianza resa in aula dai vertici della società di produzione). Un processo che ruota attorno al presunto pizzo sulle immagini di Gomorra, che oggi attende il verdetto di primo grado. Una villa, un accordo. È il possibile retroscena del fitto della villa dei Gallo. Oggi - dopo la replica delle parti - la lettura della sentenza. Per Aquino chiesti un anno e tre mesi (grazie alla confessione di ieri), per Arcopinto un anno e sei mesi, mentre in Procura si valuta la possibilità di approfondire testimonianze e verbali di udienza. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino