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Piazza del Plebiscito è sempre più un cantiere. Dopo anni di totale abbandono è una buona notizia. Non ci si può lamentare di uno spazio simbolico, com'è appunto il Plebiscito, abbandonato a se stesso, l'eterna cartolina imbrattata e, poi, quando si mette mano a recuperarlo, cambiare di segno alle lamentele.
È la bipolarità degli incontentabili, sindrome molto napoletana. Ma ci sono i soliti «però», che vanno messi in piazza, è il caso di dirlo, perché pure questi sono molto napoletani. Lo stato dell'arte è quello di un luogo morto e sepolto dalle transenne. In attesa dell'auspica resurrezione. È una condizione provocata da contingenze e negligenze. E le secondo ce le trasciniamo dietro da troppo tempo.
Tre su quattro degli edifici storici che affacciano sulla piazza sono imbracati, completamente o parzialmente: la basilica di San Francesco di Paola, Palazzo Reale e, ultima, la Prefettura, dalle cui mura esterne, nei giorni scorsi, sono caduti dei pezzi di cornicione. Resta indenne solo il Comando Militare, ad angolo con via Cesario Console. La chiusura (si spera temporanea) dello spazio davanti alla Prefettura, tra l'altro, ha fatto dirottare il traffico sull'ultimo tratto dell'isola pedonale di Chiaia, già solitamente intasata di suo. Ma era inevitabile.
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Il Mattino