Rogo Città della Scienza, vigilante assolto ma il caso si riapre: nuovo processo

Rogo Città della Scienza, vigilante assolto ma il caso si riapre: nuovo processo
Formalmente il caso è ancora aperto. È stata la Corte di Cassazione ad accogliere il ricorso formalizzato dalla procura generale di Napoli sulla vicenda del...

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Formalmente il caso è ancora aperto. È stata la Corte di Cassazione ad accogliere il ricorso formalizzato dalla procura generale di Napoli sulla vicenda del vigilante di Città della scienza, unico imputato a distanza di otto anni da rogo doloso. Sono stati i giudici della suprema corte a rispedire gli atti a Napoli, disponendo la fissazione di un nuovo processo in appello, nel tentativo di valutare la posizionee di Paolo Cammarota, il vigilante che quella notte era in servizio quando le fiamme divorarono il museo cittadino. Un caso che si riapre, che ruota attorno a una serie di elementi su cui hanno battuto le indagini: la ronda del vigilante quel lunedì notte - a partire dalle 21 -, ma anche il cambio di turni di lavoro con alcuni colleghi, che avrebbero consentito al vigilante di avere mano libera nella gestione del museo. Ma sono stati anche altri i punti indicati nel corso delle indagini, puntualmente condotte dai pm Michele Del Prete e Ida Teresi, sotto il coordinamento dell’allora procuratore aggiunto Gianni Melillo (all’epoca coordinava la Dda di Napoli), oggi rafforzate dalla sinergia con la procura generale nella definizione del ricorso in Cassazione.

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Stando a quanto emerso finora, ci sarebbero alcune contraddizioni messe in rilievo dal confronto incrociato delle posizioni di Cammarota e dei suoi colleghi: l’attivazione dell’allarme, il giro di perlustrazione, il ritardo nei soccorsi. Indizi. Che sono stati sostenuti anche alla luce di alcune intercettazioni telefoniche, da cui emergeva un certo malessere da parte del dipendente nei confronti dell’azienda che gestiva il museo, probabilmente causa ritardi nei pagamenti. Indizi, su cui il verdetto non è stato a senso unico. Proviamo a ragionare: in primo grado, la condanna a sei anni di reclusione, come responsabile di incendio doloso, secondo il verdetto firmato con il rito abbreviato dal giudice per le udienze preliminari Maria Aschettino; poi - lo scorso novembre - la terza corte di appello che ha ribaltato il verdetto, con una assoluzione piena da parte del collegio, che decise di accogliere le conclusioni difensive dei penalisti Luca Capasso e Antonio Tomeo: «Piange di gioia», dissero i due legali dopo l’assoluzione piena di Cammarota. Da allora, il nuovo braccio di ferro in Cassazione, che ha deciso di accogliere il ricorso della Procura e di riaprire il caso. Nuovo processo, nei confronti del quale ora c’è attesa. Assistiti dal penalista napoletano Giuseppe De Angelis, fondazione Idis Città della scienza si è costituita parte civile, svolgendo un contributo nel corso delle varie fasi del dibattimento. Ma torniamo al cuore del processo, proviamo ad analizzare la posizione del custode. 

Sin dalle primissime battute investigative, al di là della posizione del vigilante, venne ipotizzato un concorso con soggetti rimasti ignoti. Chi sono? O meglio: chi erano quelli che materialmente sono entrati e hanno appiccato il fuoco all’interno di città della scienza? Una sorta di cavallo di Troia, in quel di Bagnoli, con qualcuno che apre la porta - è questa la pista interna - e qualcun altro che dà inizio agli innesti. Perché? Stando alla ricostruzione della Procura di Napoli, ci fu un concorso di interventi, su più livelli. Già, ma con quale obiettivo? Distruggere un intero museo, per consentire di ottenere il premio assicurativo, ma anche i finanziamenti che sarebbero arrivati per la ricostruzione. Un piano ordito da qualcuno interno alla struttura, probabilmente di fronte allo stallo dei pagamenti di stipendi e crediti maturati ormai da tempo. Una o più manine interne, anche se riscontri su complicità non sono emersi. Uno scenario che spinge ora ad attendere la nuova udienza, che punta a valutare di nuovo la posizione del custode del museo andato distrutto. 

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Il Mattino