Fabrizio Antonio De Falco, 67 anni da compiere il 21 marzo, primario di Neurologia del Loreto Mare, studio a via dei Mille, il più anziano dei direttori a via Vespucci, 35...
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Ha saputo della manifestazione di ieri mattina? Alcuni manifestanti hanno fatto esplodere una bomba carta nel piazzale del Loreto: si dice che tra i proprietari di quella struttura ci sia lei…
«Sono stupefatto e amareggiato di quanto accaduto. Una doccia gelata che mi ha raggiunto mentre ero al congresso nazionale sugli ictus e le unità stroke che si tiene a Napoli. Mi ha avvertito un amico che teneva d’occhio il sito del Mattino. Per quanto mi riguarda non ho, nè ho mai avuto, alcuna connessione professionale e lavorativa con quel gruppo imprenditoriale».
E allora come mai i manifestanti hanno messo lei nel mirino?
«La spiegazione potrebbe essere nel fatto che io ho una quota azionaria del 5% in quel gruppo, un’eredità di famiglia, ma risibile sul piano pratico. Ribadisco che non ho nessuna relazione né professionale con Silba Spa e fisicamente non ci metto piede da almeno due anni. Quelle strutture hanno 80 anni di storia, una proprietà che risale ai Baroni Di Giura. Per la mia famiglia ripeto è un’eredità».
Come l’ha presa?
«Sono stupefatto e amareggiato: è evidente che associarmi in qualche modo a questa deprecabile iniziativa di protesta mi pesa, mi irrita e mi lascia sgomento».
Perché dunque dal salernitano quei dipendenti sono giunti sotto al Loreto Mare?
«Me lo sono chiesto anch’io: so che il personale è in agitazione, ci sono difficoltà economiche e stipendi da pagare. La spiegazione credo sia la cassa di risonanza che offre oggi quest’ospedale presidiato ogni giorno da decine di giornalisti».
Se ne occupa mai di questa piccola proprietà?
«Dal punto di vista amministrativo c’è qualcuno che lo fa per me. Ma non ho rapporti professionali né potrei averne. Sono un neurologo di urgenza e mi dedico fondamentalmente allo stroke. Spero che prima di andare in pensione mi facciano vedere la rete per lo stroke in Campania».
Parliamo dell’attività intramoenia: lei le la fa in ospedale?
«Faccio l’intramoenia allargata, normalmente prevista dal contratto, e presso il mio studio». E dal punto di vista interventistico? «Sono neurologo non neurochirurgo, una branca a visita».
Che aria si respira in ospedale?
«Molto pesante. Le direttive sono chiare, tutti devono essere responsabili. Abbiamo avuto precise indicazioni sui controlli dei cartellini di presenza».
E nel suo reparto?
«Non ci sono indagati né arrestati della mia branca. Qui il controllo si fa a vista. Avevo 7 collaboratori ma adesso ne ho 5. Tutte persone degnissime. Da me il problema dell’assenteismo non si pone proprio. E nemmeno per gli infermieri: si era parlato di un caso poi chiarito, era un errore. Siamo un reparto piccolo ma pieno di contenuti».
Cosa pensa dell’inchiesta sul Loreto? Se l’aspettava?
«Sono un primario di quell’ospedale da 35 anni: nel 1981 ero il più giovane, oggi il più anziano. Ma sono uno di quelli che ha dedicato la vita alle corsie: entro tutti i giorni alle 7,50 e per me non esiste nient’altro. Ma sinceramente non sapevo di altri reparti chiacchierati».
Quando è cambiato l’ospedale?
«Ho vissuto varie epoche: siamo un polo neurologico, neurochirurgico e neuroradiologico che solo il Cardarelli possiede. Questo è sempre stato un ospedale pieno di difficoltà organizzative, ma soprattutto di spazi, con un bacino di 200 mila abitanti che per la neurologia raddoppiano a 400 mila. Un ospedale che però dà risposte a tutti. Ci sono le barelle, i servizi igienici vetusti. Il declino è iniziato quando si è iniziato a parlare dell’ospedale del mare».
A che punto siete col trasloco?
«Siamo impegnati, un’operazione complessa: si tratta di avviare un Titanic non un ospedaletto.
Il Mattino