Quando è il momento delle passerelle politiche si dice che quei teatri nei quartieri difficili sono «baluardi di cultura», «trincee di...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Nella città del «Teatro festival» si alza il grido d'allarme dei teatri che forse più dovrebbero starci a cuore, se davvero non parliamo a vanvera, se davvero siamo convinti che la cultura sia uno dei possibili antidoti alla metropoli-Gomorra, se vogliamo approfittare dell'immagine che il boom turistico sta offrendo di noi, tra Caravaggio e Canova, «Lezioni di storia festival» e il «Comicon», pizzaioli-star ma anche matrimoni-trash.
Senza retorica, quei palcoscenici possono essere il cuore pulsante di una rinascita o la ferita che va in suppurazione. Possono contagiare in positivo i quartieri in cui sorgono, o essere schiacciati dalla solitudine istituzionale in cui quei quartieri vivono. Possono essere tessere di un puzzle che usi anche lo spettacolo, arte o intrattenimento che sia, non come snobistico canone per happy few, e nemmeno come arma di distrazione di massa, ma come bene comune, come momento di crescita civica. Ma possono anche essere il volto della nostra sconfitta: nella città palcoscenico cantata da quel Sergio Bruni che per Eduardo, sempre lui, proprio lui, era «'a voce e Napule», l'Sos che arriva dal San Ferdinando e dal Trianon, dal degrado che li circonda, dall'assenza di vere politiche culturali per i quartieri che li ospitano, è un grido lacerante.
Leggi l'articolo completo su
Il Mattino