Ci sono molti modi di raccontare Napoli, anche se in genere prevalgono i luoghi comuni. Molti si addentrano nei labirinti delle leggende, altri preferiscono tentare di dipanare la...
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Un’antica favola dice che il Castel dell’Ovo muta tinta a seconda dell’umore di chi lo guarda. È bigio per i tristi, acceso di tufo dorato per gli ottimisti. La stessa bussola adoperò Marco Polo nel descrivere la Cina. Per il grande viaggiatore - avverte Vittorio nell’introduzione - le città non sono solo opera degli urbanisti e degli architetti, oppure del caso, ma prendono forma grazie agli sguardi degli uomini che le attraversano. Sono paesaggi dell’animo, come sostenne Calvino. «Alveare di pietra», Napoli conserva ogni segno della propria complessità. Perciò non esiste una Napoli immota. Lascia davanti al viandante, sotto i suoi stessi piedi, pezzi di passato, ricchi di fascino perfino quando sono fatiscenti.
In questo intrecciare dello spazio e del tempo, Del Tufo evita con cura le lenti deformanti della nostalgia e del folclore. Dribbla un certo vittimismo nostro, però non rinuncia alla denuncia delle ambiguità. L’immagine in copertina è emblematica. È la statua più celebre, dopo il «Cristo Velato», della Cappella Sansevero. È intitolata «La Pudicizia», scolpita da Corradini. Mai marmo fu più sensuale. Il nostro autore preferisce cercare la meraviglia. E poiché la struttura di ogni capitolo segue la cronologia, il godimento della lettura si abbina all’utile ripasso di più di duemila anni di avvenimenti, con personaggi meravigliosi o ignobili in primo piano. Una galleria di storie infinite, un cammino prodigioso.
Questo andirivieni non diventa mai disordine poiché tutto è tenuto insieme dal filo in cui scorre lo spirito della città e perché ogni racconto rimane nel contesto in cui avvenne. Per capirci, piazza Mercato è lo scenario dolente della decapitazione di Corradino, dell’aquila piombata dal cielo per immergere un’ala nel suo sangue, del guanto di sfida lanciato dal principino tra la folla, dei soldati di Hitler invano venuti a cercare quelle nobili spoglie nella chiesa del Carmine a fine settembre del 1943. Ma il Mercato ritorna nel ‘600 della peste pittata da Micco Spadaro. E torna nel 1799 con i palchi destinati a Eleonora e agli altri patrioti repubblicani, sui quali venne decapitata la più alta classe dirigente della capitale, fu tolto il respiro alla cultura della città.
I passi hanno un suono particolare quando calpestano il triangolo esoterico della città, su quei lati stesi a unire la chiesa di San Domenico Maggiore, la Cappella Sansevero e la statua del dio Nilo. Qui passarono i sacerdoti egiziani e Raimondo di Sangro, il principe alchimista che volle unire l’area della Vasca Sacra e del Tempio di Iside con i sotterranei sotto il tempio di casa.
Le pagine di Del Tufo servono pure a ripassare la lingua. Vi siete mai chiesti da dove viene l’imprecazione «mannaggia ‘a culonna»? Avete mai udito qualcuno lamentarsi dicendo «stongo cu ‘o culo a’ Vicaria»? Bene, queste espressioni sono il ricordo della «colonna infame» eretta all’entrata di Castel Capuano, dove il viceré Don Pedro de Toledo - il costruttore di via Toledo e dei Quartieri Spagnoli - radunò gli sparpagliati tribunali della città. Davanti a quel tozzo obelisco di marmo i debitori dovevano calarsi le brache mettendo a nudo il lato B.
Nel libro si alternano straordinarie anarchie e prodigiose geometrie, con il reticolo dei Quartieri e la Y di Forcella, ostello degli egiziani di Napoli. Compaiono fantasmi spaventosi o allegri; il poeta Virgilio che fu miracoloso prima di San Gennaro; servi e imperatori come Nerone che amava il teatro dell’Anticaglia e la sua claque; regine angeliche e viziose, santi e diavoli. Gente di Napoli. Sullo sfondo o in primo piano, luoghi maledetti e meraviglie, ombre e paesaggi sommersi. Una complessità facile da leggere.
Nei ringraziamenti finali, una citazione speciale per Sergio Siano, il fotografo fratello, e la confessione di aver seguito la colonna sonora delle villanelle. Alle fine può coglierti uno strambo senso di orgoglio per questa città traballante e infrangibile, porosa al punto da inghiottire enormi cavità, come la Grotta degli Sportiglioni e la Piscina degli Incurabili che fu ossario dei morti in quell’ospedale. Spunta perfino un sentimento di riconoscenza per chi sa ancora raccontare Napoli con curiosità ed emozione, per chi sa riconoscerla ed è attendibile proprio perché ammette di non conoscerla tutta. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino