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I turisti in attesa del bus rosso si danno di gomito e prendono i cellulari per scattare foto: sulla collinetta dietro la quale si staglia, maestoso, il Maschio Angioino hanno appena individuato una capanna di plastica e materiale di recupero dalla quale sta uscendo qualcuno. Si spostano e scorgono altri ricoveri di fortuna realizzati da chi non ha casa e cerca di sopravvivere. Lo scatto del villaggio dei disperati con lo sfondo del Maschio Angioino sarà un trofeo da mostrare in tempo reale sui social.
Proprio ieri, ospite alla web tv del Comune di Napoli, l’assessore al welfare Luca Trapanese ha raccontato le difficoltà e il disagio di fronte a una povertà che si sta espandendo in maniera esponenziale: «Noi cerchiamo di restituire decoro alle persone non ai luoghi. Ogni persona che vive in difficoltà merita di ritrovare il proprio decoro personale». L’assessore ha raccontato i progetti lodevoli che mirano ad uscire dalla logica del “dormitorio” per cercare sistemazioni, definitive, in abitazioni nelle quali ricostruire una vita.
La lotta contro la disperazione è impari e non può tenere il passo della rinascita turistica della città: le foto delle capanne e dei topi al Maschio Angioino non contribuiscono a far crescere l’immagine della città. E serve a poco inaugurare piazza Municipio disegnata dall’archistar Alvaro Siza se poi non si riesce ad affrontare una questione delicata come quella dei senza tetto che chiedono aiuto.
Prima di procedere va chiarito un punto determinante. Il problema non sono gli homeless che si arrangiano a vivere nell’erba e nel pattume, fra gli animali, sugli spalti del Maschio Angioino; il problema è una città incapace di rispondere alla richiesta di aiuto di quelle persone. Qui non è in discussione la bellezza negata per via delle capanne, qui ci si chiede perché nella terza metropoli d’Italia c’è ancora un esercito di persone alle quali non si riesce ad offrire un tetto.
Ecco, allora, che l’inquadratura si sposta altrove. Dal Maschio Angioino vira leggermente a sinistra e inquadra palazzo San Giacomo.
Insomma, non basta, com’è avvenuto in passato, spedire in mezzo a quella vegetazione un gruppo di agenti e di operatori dei servizi sociali per sfrattare quelle persone. Anche perché chi non ha alternative continuerà a cercare riparo in strada e prima o poi tornerà in quello stesso luogo. Del resto la struttura stessa dell’attuale villaggio dei disperati, chiarisce che quei ricoveri di fortuna sono stati realizzati ormai molti mesi fa. Ciascuna delle capanne è stata lentamente fortificata: i più audaci sono riusciti a procurarsi teloni di plastica da sovrapporre alle casette per evitare le infiltrazioni nelle notti di pioggia. Quei teli sono appoggiati al muretto superiore degli spalti e retti da lunghe file di grosse pietre che ne evitano il cedimento.
La presenza “antica” dei residenti in quelle strutture di fortuna è confermata anche dai cumuli di immondizia che si sono inesorabilmente creati attorno alle capanne: scarti di cibo e di vestiti, pezzi di plastica, carrelli da supermercato e poi tanta robaccia prelevata, dall’immondizia nel tentativo di cercare nuovi improbabili utilizzi.
Quella per restituire dignità agli spalti del maschio Angioino è una battaglia che conduce, da tempo, via social anche Antonio Alfano, paladino che lotta per una Napoli finalmente bella e accogliente per tutti. Un tempo per evitare la vergogna davanti ai turisti era la stessa società che gestisce i bus rossi a chiedere interventi. Adesso ha smesso: era una lotta impari perché le persone allontanate, dopo qualche giorno tornavano al loro posto. Anche questo è significativo: bisogna cercare soluzioni per le persone, non nascondere sotto al tappeto la bruttura del disagio.
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