Melito. «Ma come, mi arrestate? Se erano loro che mi volevano uccidere. Mi hanno colpito allo stomaco e io mi sono solo difeso». D.A, il sedicenne figlio di Rosaria...
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Ma poi non ha fatto una piega, davanti a quell'imputazione, nonostante davanti al suo futuro si allungasse la sky line delle sbarre di una cella. Nelle case della ricostruzione post terremoto, tagliate in due da via Lussemburgo - la strada dell'Eldorado di tutte le droghe importate dalla Spagna, feudo incontrastato degli scissionisti della prima ora, quelli cresciuti sotto l'ala di Cesare e Raffaele Pagano, padre e zio del baby boss - nessuno avrebbe voglia di parlare di quel «guaglioncello», che già era il loro capo. Solo un compagno di scuola, che pure si è fatto qualche mese ai Colli Aminei il centro di accoglienza per i minorenni che delinquono sbotta: «Ma lui me lo diceva sempre: Questa è la mia vita. E mi piace. Se dovessi finire in galera, meglio così. È un'esperienza da fare. Lì si cresce». Era questa la vita che gli piaceva. Vita da boss degli anni Duemila, vacanze in luoghi da sogno, auto sportive, Rolex e fiumi di champagne. Dom Perignon, preferibilmente. Amici con cui tirare tardi, tatuaggi esagerati, il suo cognome esibito come una griffe sulla pelle.
Vita dorata, vita violenta. Nemmeno la nascita del figlio, un figlio avuto a sedici anni, che adesso ha due mesi, ma del quale non ha fatto nemmeno un accenno ai carabinieri, su come e quando potrà rivederlo, gli ha fatto cambiare prospettiva su una vita diversa. Questo ragazzino, dicono qui in Via Lussemburgo, il suo feudo, è un capo nato. Capace di grandi gesti di generosità, ma anche duro e crudele. A chiedere in giro, tutti credono alla storia della legittima difesa. Che sicuramente sarà la strategia difensiva, per evitargli una lunga condanna. Pochi giorni prima del duplice omicidio, il rampollo degli Amato-Pagano e una delle vittime, Nuvo Mohammed, erano venuti alle mani in un locale del posto, una sorta di bar-paninoteca. Ed era spuntata anche una pistola, però utilizzata solo per colpire con il calcio la testa del marocchino, che per conto del clan e insieme ad Alessandro La Peruta spacciava droga. Un litigio, si mormora nelle piazze di spaccio di Melito, provocato dallo stesso minorenne, che si era reso conto delle difficoltà del clan, che rischiava una spaccatura fatale, su chi doveva gestire lo spaccio.
Un anno fa, l'intero sistema era gestito da Pietro Caiazza, detto «Pierino o napulitano», su precise indicazioni di Rosaria Pagano, la mamma del minorenne,la «Chanel» di Melito arrestata lo scorso gennaio e ora finita al carcere duro.
Il Mattino