Coronavirus a Napoli, morti nell'ospizio focolaio: inchiesta sugli allarmi inascoltati

Coronavirus a Napoli, morti nell'ospizio focolaio: inchiesta sugli allarmi inascoltati
Quando e in che modo sono partite le prime segnalazioni? E quale esito hanno avuto? È il punto cruciale dell'inchiesta sui tre decessi all'interno dell'ospizio...

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Quando e in che modo sono partite le prime segnalazioni? E quale esito hanno avuto? È il punto cruciale dell'inchiesta sui tre decessi all'interno dell'ospizio di Fuorigrotta La Casa di Mela, una struttura privata divenuta dieci giorni fa un drammatico focolaio di contagio a Napoli. Ricordate il caso? Decine di anziani spostati di notte dall'ospizio di Fuorigrotta verso strutture cittadine o in ricoveri di provincia più o meno attrezzati, non senza dolorosi intoppi per gli ospiti ultraottantenni; parenti in ansia per la destinazione finale di mamme e nonni, oltre una ventina di casi positivi (tra ospiti e dipendenti), fino ad arrivare all'aspetto più doloroso: la morte di tre ospiti de La Casa di Mela, (due dei quali sono risultati positivi al coronavirus), che avevano manifestato sintomi tipici della micidiale pandemia. Un'inchiesta che punta a spostare l'attenzione almeno una settimana prima che si verificasse il primo decesso. Siamo nei giorni che vanno dal 23 al 29 marzo, quando all'interno dell'ospizio di via delle Scuole pie comincia a circolare il virus. Stando a quanto emerso dalle primissime testimonianze, la richiesta di tamponi non avrebbe avuto alcun effetto. Solo con la morte della prima paziente - domenica 29 marzo -, arrivano i controlli richiesti dagli amministratori de La Casa di Mela. Troppo tardi, alla luce poi della diffusione del contagio, tanto da spingere oggi la Procura di Napoli ad aprire un fascicolo, al momento contro ignoti.

 
Chiara la strategia investigativa: si poteva - anzi: si doveva - intervenire subito, alle prime avvisaglie, ai primi sintomi. Almeno due vite potevano essere salvate, mentre si poteva risparmiare a decine di nuclei familiari il calvario di trasferimenti improvvisi e dolorosi sotto il profilo affettivo. Inchiesta condotta dal pool guidato dal procuratore aggiunto Simona Di Monte, si lavora sulle cartelle cliniche, ma anche sulle testimonianze emerse fino a questo momento (per altro puntualmente riportate sulle pagine di questo giornale), a proposito di segnalazioni andate a vuoto. Ma proviamo a fare chiarezza. Stando a una nota firmata lunedì 31 marzo da parte del legale de La casa di Mela, i tamponi sono stati effettuati dopo il decesso della prima ospite solo dopo aver segnalato l'esistenza di un probabile caso di contagio al numero verde dell'emergenza Covid 19, all'Asl e finanche al centralino di polizia. Sempre secondo la ricostruzione degli amministratori della casa famiglia, nei giorni precedenti al primo decesso erano state avanzate richieste di tamponi, appena comparsi i primi sintomi sospetti. Una ricostruzione che va verificata, in una vicenda che punta a fare chiarezza sulla triangolazione tra ospizio, medici di base e asl. Accertamenti delegati ai carabinieri del Nas, agli ordini del comandante Vincenzo Maresca e del maggiore Gennaro Tiano, cui spetta il compito di mettere insieme i vari tasselli di questa storia. Un caso probabilmente simile a quanto avvenuto anche in altre case di cura o residenze per anziani, che hanno fatto registrare un picco di contagi, con l'inevitabile corredo di lutti tra ospiti, pazienti e dipendenti. E a voler guardare neanche tanto lontano, la girandola di eventi che si è concentrata a Fuorigrotta in pochi giorni ricorda quanto avvenuto a Milano nelle principali strutture di assistenza per anziani. Anche qui qualcosa è saltato sotto il profilo delle segnalazioni, degli allarmi inascoltati, degli interventi tardivi.
 

È in questo scenario che a Napoli la Procura ha deciso di non lasciare nulla di intentato. È stata eseguita l'autopsia sul corpo delle persone decedute in queste circostanze, per fornire elementi certi in vista di eventuali processi, qualora si decidesse di procedere per omicidio colposo o per epidemia colposa. Non si tratta solo di fare uno screening sui casi sospetti, ma di congelare prove destinate a diventare decisive quando - terminata l'emergenza sanitaria - bisognerà fare i conti con le singole responsabilità individuali al cospetto di un giudice.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino