Napoli, il parco della droga resiste alle ruspe: nuove baracche dopo lo sgombero

Napoli, il parco della droga resiste alle ruspe: nuove baracche dopo lo sgombero
Isaac viene dal Ghana, è nato nel 1960 e vive nella baraccopoli della Marinella. Da quando è arrivato in Italia, nel 2005, ha cambiato tre lavori. Ironia della...

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Isaac viene dal Ghana, è nato nel 1960 e vive nella baraccopoli della Marinella. Da quando è arrivato in Italia, nel 2005, ha cambiato tre lavori. Ironia della sorte, porta il nome di quel bambino che nella Bibbia doveva essere sacrificato da suo padre Abramo per far cessare fame e carestia e che invece fu salvato per grazia divina. La vita di Isaac della Marinella, al contrario, galleggia nel sacrificio, nella miseria e nell'assenza di salvezza. E senza salvezza è anche la vita di Maria, ucraina, Micheal del Burkina Faso e degli altri trenta e più inquilini della città della morte. Vivono e dormono ancora lì, in barba allo sgombero dell'8 febbraio. Si è avvistata anche una ruspa, sempre ieri, tra la Marinella, via Marina e la Prefettura, ma l'immondizia della baraccopoli tanta, sepolta, e difficile da polverizzare è ancora lì. Dovevano portarla via lunedì scorso.

 
La città della miseria nasce alle spalle dell'edificio di Equitalia. «Di sera, di extracomunitari, ce ne sono circa una trentina in questi giorni», spiega Luigi Cuccurullo, guardia giurata. In questa zona della baraccopoli vivono per lo più gli immigrati di colore, su letti di fortuna e in mezzo a una quantità di immondizia enorme. A ridosso di via Marina, invece, dall'altro lato di quello che doveva essere il grande Parco della Marinella, si apre il regno dei tossici. Un altro paradosso geografico. «Sono in maggioranza napoletani sussurrano nel quartiere Entrano, consumano e vanno via». «All'inizio della prossima settimana spiega l'assessore al Verde Ciro Borriello avremo novità sulla data di inizio dei lavori per la costruzione del Parco». Le operazioni dovrebbero partire tra un mese.

Torniamo a Isaac. Scavalca le transenne e ostenta un sorriso amaro. Indossa un giubbino verde, occhiali da sole e ha barba e capelli bianchi: «Dormo, cammino qui di notte racconta e non ho casa. Vengo dal Ghana e sono in Italia da 19 anni. Prima lavoravo a Foggia, con la zappa. Raccoglievo pomodori. Nel 2006 sono arrivato a Napoli e ho iniziato a lavorare nel mercato del porto. Ogni tanto vado al mercato del pesce di Volla, carico e scarico merci». Quanti anni ha? Non risponde, ma scrive l'anno sulla polvere di un'auto parcheggiata vicino al muro di cinta della baraccopoli: «1960». «Mio padre è morto quando ero piccolo racconta La sua famiglia ha rubato tutti i nostri soldi». Pochi passi più in là, invece, si incontra una donna bionda sopra la quarantina. Più che camminare barcolla. Le si avvicina un assistente sociale per aiutarla: «Sono Maria, ma allontanati da me, altrimenti chiamo il mio fidanzato». Non vuole essere salvata: se ne va, accende un fuoco e continua a barcollare. Arriva nei pressi di due coperte da cui spuntano due teste. Uno di loro si chiama Micheal: «Vengo dal Burkina Faso e sono a Napoli dal 2014», sussurra. Poi si rispegne e torna a dormire. Intorno a lui, le prime baracche ricostruite: tra immondizia, copertoni e tende, spuntano i cappucci illuminati dal sole.


Dal lato via Marina resiste il regno dei tossici. Qui si sentono storie di prostitute, morti per overdose, spaccio di eroina, cocaina e «speedball», un mix tra ero e coca. Se ne incontrano due di tossicodipendenti, napoletani, e in pieno pomeriggio. «Siamo alla prima dose della giornata confessano Stiamo andando via e torneremo stasera». Scavalcano il muro di cinta ed escono scansando un paio di topi che camminano nella discarica. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino