Inflazione a Napoli: dagli alimentari ai detersivi, ​aumenti record nei mercatini rionali

Inflazione a Napoli: dagli alimentari ai detersivi, aumenti record nei mercatini rionali
Il carovita tocca anche la spesa low cost. Una realtà che emerge con chiarezza dal viaggio del Mattino in tre dei principali mercati cittadini: la Pignasecca al centro,...

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Il carovita tocca anche la spesa low cost. Una realtà che emerge con chiarezza dal viaggio del Mattino in tre dei principali mercati cittadini: la Pignasecca al centro, Antignano e Casale de Bustis al Vomero. Alla base degli aumenti, che in certi casi raggiungono anche vette del 100%, ci sono varie ragioni: dalla guerra tra Ucraina e Russia all’escalation dei costi di materie prime, energia, carburante e trasporti, cui si aggiungono le speculazioni dei fornitori e il fattore Covid, che non ha permesso una ripresa solida tra i mercatali napoletani, ma ha provocato la chiusura di «2000 attività» nel solo 2021, secondo i dati Ugl. In questo scenario così complesso, insomma, il risparmio si fa un miraggio. Anche al mercato. 

Cosa è aumentato in particolare? Di sicuro – spiegano i mercatali - le «merci d’importazione». Quelle cioè gravate da costi aggiuntivi legati a trasporti e benzina. Il pesce, su tutto. Alla Pignasecca, «un salmone ci costa 13 euro – spiegano dalla pescheria Del Sole – Prima della guerra, invece, lo pagavamo 9 euro». «300 grammi di salmone costano oggi 5 euro, nel pre-guerra se ne spendevano 3 euro». Stessi aumenti, del «30% medio» anche su «spigole, orate e salmoni». Una «silice», prima dell’invasione russa, alla Pignasecca costava «14 euro». Oggi si paga a «18». Spostiamoci di qualche banco e passiamo alla Frutteria Sereto. La zucchina scura costa «1,50 euro al kg», prima del conflitto il prezzo era fissato a «90 centesimi». Un kg di fagiolini, fino a febbraio, veniva comprato a «3 euro» contro i «3,60» di luglio. Nessun aumento particolare invece per le patate (che arrivano dalla Campania). Impennata invece per le banane (dal Sudamerica): «costavano 1 euro al kg» 5 mesi fa. Adesso non meno di «1.20». Schizza anche il prezzo dell’olio: «prima della guerra 3 bottiglie» si trovavano a 5 euro. Oggi 4 euro l’una. Passiamo a Casale de Bustis, e diamo uno sguardo all’abbigliamento. Qui il problema riguarda in particolare il costo delle materie prime: «Aumenti dal 20 al 30% sul cotone e sulle lane», argomentano da Idea Filati. Si vende meno ad Antignano, il cui target è ancora scottato dalla pandemia. Tante le preoccupazioni dei consumatori, ma non dissimili da quelle dei mercatali.

«I costi sono cresciuti del 30% - racconta Luigi Del Sole, titolare dell’omonima pescheria - La gente compra meno cibo. Stiamo cercando di far scontare il meno possibile la crisi al cliente: siamo in una zona di mercato e non possiamo incalzare chi compra con aumenti importanti. Questo però comporta una forte diminuzione degli incassi: prima riuscivo a incassare circa 400 euro al giorno. Oggi 250. Senza contare che, quando a fine settembre scadranno le agevolazioni da Covid per le occupazioni di suolo, lo scenario sarà davvero grave: se per allora i prezzi non saranno scesi, molti dovranno chiudere». «Abbiamo i prezzi tra i meno cari della Pignasecca – dice Christian Sereto – Ma gli aumenti di logistica e carburanti gravano anche su di noi. Quanto ai raccolti, a volte c’è comunque ancora tanto spreco, cresciuto dallo scoppio della guerra. Noi trattiamo ogni mattina sui prezzi. La signora Elena De Luca vende aglio e peperoncino, e ha dimezzato l’attività: «Da quando l’olio costa il triplo – sospira – non posso più fare le melanzane sott’olio». «Sto riuscendo a mantenere i costi più bassi con merci acquistate prima del conflitto – spiega Giustino Merone di Idea Filati – Ma a Biella tante industrie da cui ci riforniamo stanno chiudendo. Nel 2023, esauriti i capi già comprati, i prezzi saliranno fino al 20-30% in più».  

Marrigo Rosato è il segretario nazionale dell’Associazione Ambulanti Ugl. Fornisce dati e racconta uno scenario critico: «Stiamo cercando di assorbire tanto i costi - esordisce - e sopperire agli aumenti che ci vengono fatti dai fornitori e dai grossisti tra San Giuseppe, Terzigno e Cis di Nola, specialmente nel tessile. Su 4mila ambulanti a Napoli, circa il 50% è stanziale, e subisce meno l’aumento della benzina. Ma i mercati sono vuoti. Le categorie face to face stanno cercando di venire incontro ai clienti. I lockdown, inoltre, hanno costretto i consumatori a servirsi online. Chiediamo al governo di ricevere lo stesso trattamento concesso agli autotrasportatori, per cui è stato previsto un credito d’imposta. Questa misura eviterebbe speculazioni che, a parte l’aumento dei costi alla fonte e nella filiera della distribuzione, non sono da escludere». 

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Il Mattino