Inflazione a Napoli: dagli alimentari ai detersivi, ​aumenti record nei mercatini rionali

Inflazione a Napoli: dagli alimentari ai detersivi, aumenti record nei mercatini rionali
di Gennaro Di Biase
Martedì 19 Luglio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 20 Luglio, 08:04
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Il carovita tocca anche la spesa low cost. Una realtà che emerge con chiarezza dal viaggio del Mattino in tre dei principali mercati cittadini: la Pignasecca al centro, Antignano e Casale de Bustis al Vomero. Alla base degli aumenti, che in certi casi raggiungono anche vette del 100%, ci sono varie ragioni: dalla guerra tra Ucraina e Russia all’escalation dei costi di materie prime, energia, carburante e trasporti, cui si aggiungono le speculazioni dei fornitori e il fattore Covid, che non ha permesso una ripresa solida tra i mercatali napoletani, ma ha provocato la chiusura di «2000 attività» nel solo 2021, secondo i dati Ugl. In questo scenario così complesso, insomma, il risparmio si fa un miraggio. Anche al mercato. 

Cosa è aumentato in particolare? Di sicuro – spiegano i mercatali - le «merci d’importazione». Quelle cioè gravate da costi aggiuntivi legati a trasporti e benzina. Il pesce, su tutto. Alla Pignasecca, «un salmone ci costa 13 euro – spiegano dalla pescheria Del Sole – Prima della guerra, invece, lo pagavamo 9 euro». «300 grammi di salmone costano oggi 5 euro, nel pre-guerra se ne spendevano 3 euro». Stessi aumenti, del «30% medio» anche su «spigole, orate e salmoni». Una «silice», prima dell’invasione russa, alla Pignasecca costava «14 euro». Oggi si paga a «18». Spostiamoci di qualche banco e passiamo alla Frutteria Sereto. La zucchina scura costa «1,50 euro al kg», prima del conflitto il prezzo era fissato a «90 centesimi». Un kg di fagiolini, fino a febbraio, veniva comprato a «3 euro» contro i «3,60» di luglio. Nessun aumento particolare invece per le patate (che arrivano dalla Campania). Impennata invece per le banane (dal Sudamerica): «costavano 1 euro al kg» 5 mesi fa. Adesso non meno di «1.20». Schizza anche il prezzo dell’olio: «prima della guerra 3 bottiglie» si trovavano a 5 euro. Oggi 4 euro l’una. Passiamo a Casale de Bustis, e diamo uno sguardo all’abbigliamento.

Qui il problema riguarda in particolare il costo delle materie prime: «Aumenti dal 20 al 30% sul cotone e sulle lane», argomentano da Idea Filati. Si vende meno ad Antignano, il cui target è ancora scottato dalla pandemia. Tante le preoccupazioni dei consumatori, ma non dissimili da quelle dei mercatali.

«I costi sono cresciuti del 30% - racconta Luigi Del Sole, titolare dell’omonima pescheria - La gente compra meno cibo. Stiamo cercando di far scontare il meno possibile la crisi al cliente: siamo in una zona di mercato e non possiamo incalzare chi compra con aumenti importanti. Questo però comporta una forte diminuzione degli incassi: prima riuscivo a incassare circa 400 euro al giorno. Oggi 250. Senza contare che, quando a fine settembre scadranno le agevolazioni da Covid per le occupazioni di suolo, lo scenario sarà davvero grave: se per allora i prezzi non saranno scesi, molti dovranno chiudere». «Abbiamo i prezzi tra i meno cari della Pignasecca – dice Christian Sereto – Ma gli aumenti di logistica e carburanti gravano anche su di noi. Quanto ai raccolti, a volte c’è comunque ancora tanto spreco, cresciuto dallo scoppio della guerra. Noi trattiamo ogni mattina sui prezzi. La signora Elena De Luca vende aglio e peperoncino, e ha dimezzato l’attività: «Da quando l’olio costa il triplo – sospira – non posso più fare le melanzane sott’olio». «Sto riuscendo a mantenere i costi più bassi con merci acquistate prima del conflitto – spiega Giustino Merone di Idea Filati – Ma a Biella tante industrie da cui ci riforniamo stanno chiudendo. Nel 2023, esauriti i capi già comprati, i prezzi saliranno fino al 20-30% in più».  

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Marrigo Rosato è il segretario nazionale dell’Associazione Ambulanti Ugl. Fornisce dati e racconta uno scenario critico: «Stiamo cercando di assorbire tanto i costi - esordisce - e sopperire agli aumenti che ci vengono fatti dai fornitori e dai grossisti tra San Giuseppe, Terzigno e Cis di Nola, specialmente nel tessile. Su 4mila ambulanti a Napoli, circa il 50% è stanziale, e subisce meno l’aumento della benzina. Ma i mercati sono vuoti. Le categorie face to face stanno cercando di venire incontro ai clienti. I lockdown, inoltre, hanno costretto i consumatori a servirsi online. Chiediamo al governo di ricevere lo stesso trattamento concesso agli autotrasportatori, per cui è stato previsto un credito d’imposta. Questa misura eviterebbe speculazioni che, a parte l’aumento dei costi alla fonte e nella filiera della distribuzione, non sono da escludere». 

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