«Domande assurde e contorte, ma la cosa che ha giocato di più a sfavore è stato il tempo: troppo pochi 40 minuti per 60 domande, in alcuni casi lunghe 3 righi....
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Si sente beffata?
«Molto delusa e confusa. Ero convinta di aver dato le risposte giuste, ma non posso verificare, perché non è mai stata pubblicata la graduatoria integrale, con chi è rimasto fuori. Hanno detto che i non idonei non sono stati inseriti per motivi di privacy. Se volessi sapere il mio punteggio dovrei fare un accesso agli atti».
Crede che qualche bocciato possa fare ricorso?
«Gira questa voce. Ma che senso ha per un contratto di un anno?».
Qual è il bilancio di questa esperienza?
«Pessimo. Una disorganizzazione assoluta. C'erano candidati che avevano anni di lavoro alle spalle nel sociale. È stata fatta tabula rasa, con una preselezione sulle 13mila domande che ha considerato solo i titoli e l'età. Per gli educatori, chi aveva la triennale ma era più giovane è stato favorito rispetto ai pedagogisti con la magistrale».
Può aver giocato l'inesperienza di alcuni nei test?
«Non più di tanto. I neolaureati erano pochi. C'erano molti 30enni».
Qual è stata la difficoltà maggiore, allora?
«Tante, a cominciare dal poco tempo per prepararsi. La prima graduatoria degli ammessi in estate era sbagliata. Quella definitiva è uscita solo il 19 ottobre. Solo 20 giorni per studiare. A differenza di altri concorsi, poi, non sono state pubblicate le simulazioni e le batterie di domande, da cui poi sarebbero state selezionate quelle d'esame, ma solo le linee guida con gli argomenti generici: la legislazione nazionale e regionale, il testo unico degli enti locali. Io ho studiato su un libro trovato su internet dedicato a questo concorso, ma non era specifico per ogni profilo. Le simulazioni di domande poi c'erano solo per l'inglese e l'informatica».
Com'è stato l'esame?
«Ansiogeno. Una rigidità eccessiva. Sul banco solo la penna. Niente cellulari. Con addetti che controllavano. I test erano due, a file alternate. C'era il foglio con le domande e a parte quello ottico con le risposte da annerire. Bisognava calcare a lungo per lasciare il segno e abbiamo perso altro tempo. Ogni 5 minuti ci avvertivano di quanto rimaneva. Il fattore tempo è stato determinante. Troppo pochi 40 minuti per 60 domande. Ogni domanda esatta valeva mezzo punto. Una sbagliata -0,25. Lo sbarramento era a 18 punti, cioè 36 domande corrette».
Com'erano i quesiti?
«Non è che fossero difficili, ma troppo lunghi e articolati male. Ci voleva un minuto solo per leggerli. Le risposte a volte differivano per una parola. Dovevano metterne almeno la metà. Poi gli argomenti non erano tutti pertinenti col nostro profilo. Agli educatori sono capitate domande di informatica, del tipo: Il back-up è una cartella di sicurezza o di utilità? Anche quelle attinenti, poi, non sempre erano nel programma indicato».
Ha fatto altri concorsi? Come si è trovata?
«Ne ho fatti tanti, anche al Nord Italia. Ma ci hanno dato sempre più tempo. Alcuni colleghi poi avevano fatto qualche mese fa quello per gli asili nido, sempre del Comune di Napoli, e hanno detto che era più semplice, perché in quel caso, il Formez ha pubblicato le simulazioni di domande, poi estratte». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino