Napoli, a 16 anni accoltella un coetaneo: era in regime di messa alla prova dopo la rissa allo scoglione di Posillipo

L'agguato in via Hugo Pratt a Scampia subito dopo la partita di calcetto

Lo scoglione di Posillipo, dove il ragazzo partecipò a una maxirissa
Di lui il giudice si era fidato. E gli aveva concesso un’apertura di credito: gli aveva garantito un regime di messa alla prova, nonostante le accuse - accuse gravissime -...

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Di lui il giudice si era fidato. E gli aveva concesso un’apertura di credito: gli aveva garantito un regime di messa alla prova, nonostante le accuse - accuse gravissime - che gli erano state contestate di recente. Un regime, quello della messa alla prova, che non ha retto. Che non gli ha impedito di armarsi e di aggredire un proprio coetaneo, colpendolo con tre coltellate all’addome e al fianco.

Brutta storia a Scampia, in via Hugo Pratt: mercoledì sera, un ragazzino di 16 anni ha da poco finito la partita di calcetto, sta tornado a casa, quando viene affrontato e pugnalato. Ora è in ospedale, al Cardarelli, dove ha ricevuto ben due interventi chirurgici. Ad aggredirlo è stato un coetaneo. Si chiama G. S., bloccato dai poliziotti del commissariato di Scampia. Un recidivo, di recente graziato dal gip dei minori. Meno di una anno fa, lo scorso giugno, faceva parte del branco di minori che entrò in azione allo “scoglione” a Posillipo. Venne riconosciuto e indagato. Una volta dinanzi al giudice, G.S. ha strappato il beneficio. Un regime che premia la buona condotta, senza passare per il carcere.

In sintesi, il 16enne ha mostrato il proprio pentimento, si è iscritto a scuola (in un istituto professionale), mostrandosi desideroso di cambiare vita. Nulla di tutto ciò, almeno a giudicare da quanto avvenuto a Scampia due sere fa. Le coltellate, la fuga. Poi la confessione notturna. Accompagnato dal proprio legale di fiducia, il penalista Giuseppe Caserta, il ragazzino ha confessato. Ha ammesso di aver aggredito il coetaneo, al termine di una sorta di trappola. Era accompagnato da un amico (che poteva non essere a conoscenza del fatto che G. S. fosse armato), poi quando ha visto il coetaneo non ha avuto remore: due fendenti all’addome, uno al fianco, quando ormai il ragazzino era a terra, in un crescendo di rabbia e paura. Poi? Cosa è accaduto? La decisione di costituirsi, di raccontare tutto. Assieme al suo legale, l’indagato ha condotto gli agenti sul posto dell’agguato, mostrando anche il tombino nel quale aveva gettato il coltello. La lama era ancora sporca di sangue, quello di un ragazzino che ora è al Cardarelli, dopo aver subìto la notte scorsa ben due operazioni. 

Inchiesta condotta dal pm Claudia De Luca, sotto il coordinamento della procuratrice per i minori Maria De Luzenberger, si parte dalla confessione resa la notte scorsa in Questura. Indagato per tentato omicidio, il 16enne ha spiegato così il movente dell’aggressione: «Alcuni mesi fa ero stato picchiato, mi avevano aggredito in gruppo, c’era anche il ragazzino che ho ferito poche ore fa. Ho agito per vendicarmi, anche se in questo momento sono molto amareggiato, mi auguro che possa guarire presto». 

Intanto, però, pesa il precedente contestato al 16enne. A leggere il fascicolo, G. S. era stato uno dei partecipanti alla rissa sugli scogli di Posillipo, quella culminata nel ferimento di un minore, ma anche nella condanna del responsabile (per lui la pena di 8 anni di reclusione). Fatto sta che per G. S. il processo non era mai partito: niente cella, niente rinvio a giudizio, niente istruttoria in aula. Per lui, la messa alla prova, che consente di stabilire un percorso di recupero controllato da assistenti sociali e che garantisce - alla fine del tempo prestabilito - di estinguere a monte ogni ipotesi di reato. Una mano morbida che, alla luce di quanto avvenuto due sere fa a Scampia, non sembra aver avuto riscontri validi: il 16enne ha rischiato di uccidere il proprio coetaneo (che, ripetiamo, versa in gravi condizioni); ha fatto saltare il programma di recupero stabilito dinanzi al giudice, in regime di messa alla prova; e ha messo a repentaglio se stesso, da possibili vendette dell’ultima ora. 

Quanto basta a riflettere sull’intero meccanismo di concessione di uno strumento da sempre al centro di posizioni controverse. È giusto operare un colpo di spugna su accuse gravi, quando ci si trova al cospetto di minori tanto violenti? E soprattutto: non era meglio che, dallo scorso giugno, G. S. finisse in cella, al riparo dai rigurgiti di vendetta che si respirano in strada, in quartiere difficile, a pochi passi da casa? Figlio di un pregiudicato per rapine, da sempre lontano dalla scuola, una vita difficile. Dopo i fatti di Posillipo, aveva mostrato la volontà di uscire dalla spirale di violenza nella quale era finito: «Basta coltelli, niente aggressioni - aveva detto -, ma andrò a scuola, voglio prendere il diploma». Parole al vento, in classe non era mai entrato. Un episodio che conferma il trend negativo. Sabato scorso, tre ragazzini sono stati accoltellati in zone diverse della città, sempre per motivi futili ed estemporanei. Nell’intera area metropolitana, girano armi da taglio e non solo. Sono in tanti a chiedere maggiore rigore, a proposito di benefici e condoni da assicurare ai giovani che si macchiano di reati di sangue. E la storia di Scampia sembra dare forza a questa richiesta. 

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Il Mattino