«Non so nulla. Il progetto è fermo». La voce al telefono risponde senza esitazioni alla domanda sul perché Marina di Vigliena, l'ambizioso progetto...
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Il primo progetto risale al 1999, quando il Comune di Napoli acquistò l'ex stabilimento metallurgico Corradini. Il disegno definitivo fu approvato solo nel 2006 con lo stanziamento di 77 milioni di euro, a cui doveva seguire la bonifica dei suoli. Da lì doveva partire il riscatto della città, con la nascita dell'approdo di Vigliena: 850 posti barca, dai 12 agli 80 metri, un muro paraonde per la sicurezza del porto, una scuola di vela e aree per gli ormeggi e il rimessaggio entro il 2013. Tutto questo grazie ad un project financing che vedeva scendere in campo amministrazione comunale e imprenditoria.
Si parte dal Forte di Vigliena (in via Marina dei Gigli, costruito nel '700 dagli spagnoli), che doveva essere riqualificato come bene archeologico in base a un accordo tra Comune e Porto di Napoli, ma che oggi è un rudere ricoperto da una «foresta». Accanto c'è il parco, mai aperto, di Vigliena: qui doveva nascere un giardino pubblico per i bambini, ma c'è una discarica abusiva. A due passi il sottopasso - anch'esso mai inaugurato perché manca il collaudo - che avrebbe dovuto collegare Vigliena a corso San Giovanni. Oggi è il rifugio di tossici e clochard. Ma la vera vergogna è la spiaggia di Vigliena (che i residenti chiamano «giù alla Sme», dal nome del vecchio complesso industriale). Di fronte si staglia la centrale termoelettrica della Tirreno Power, sorta nonostante le battaglie degli ambientalisti, come Vincenzo Monreale: «Siamo di fronte al fallimento del progetto di Porto Fiorito e la prospettiva continua ad essere incerta. L'Autorità portuale prevede la costruzione di nuove banchine, ma questo sarà un altro ostacolo per la riqualificazione urbana della zona».
Nel mare di Vigliena qualcuno fa anche il bagno e i pescatori gettano le reti, nonostante l'acqua sia inquinata e piena di immondizia. A ridosso della spiaggia ci sono i capannoni delle ex fabbriche. Come la Partenope di Raffaele D'Orazio. «Avevo aperto il cantiere nel 1985 - racconta - su una spiaggia adibita a sbarco per i contrabbandieri. Eravamo un'eccellenza per Napoli: 180 posti barche, un piazzale di 20mila metri quadri e 3mila metri quadri coperti». Ma con l'arrivo di Porto Fiorito nel settembre 2005 a D'Orazio viene revocata la concessione.
Secondo il nuovo masterplan del Porto di Napoli la zona potrebbe diventare area di smistamento container. «Stiamo lavorando - spiega Pietro Spirito, presidente dell'Autorità portuale - per allargare da un lato la darsena di levante e creare spazi aggiuntivi per il porto, dall'altro per ricucire il rapporto tra il mare e i cittadini di San Giovanni, che hanno diritto a riavere accessibilità alla spiaggia». Un'idea che fa storcere il naso ai residenti: «Questa non può essere vista come occasione di sviluppo - tuona Michele Langella - ma è un ulteriore atto di sopraffazione di un territorio martoriato da decenni. Mentre un'intera comunità chiede che le venga restituito il suo mare». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino