Rider rapinato a Napoli: piangono e confessano, la notte spietata dei figli di Gomorra

Piangono come bambini, singhiozzando e balbettando la loro verità negli uffici al terzo piano della Questura. Poi si accusano a vicenda. Erano in sei, ieri mattina presto...

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Piangono come bambini, singhiozzando e balbettando la loro verità negli uffici al terzo piano della Questura. Poi si accusano a vicenda. Erano in sei, ieri mattina presto quando sono stati prelevati dagli agenti della Polizia di Stato con l’accusa di avere aggredito e rapinato un rider lungo Calata Capodichino: ma alla fine - dopo una lunga giornata scandita da interrogatori e verifiche incrociate - per quell’episodio vergognoso vengono fermati in due. Hanno solo 17 anni, e sono “figli” della Malanapoli: entrambi appartenenti a genitori già coinvolti in pesanti indagini sulla camorra e sulla faida di Secondigliano. Confessioni parziali: «Volevamo andare a mangiare un panino, poi abbiamo visto quella moto nuova e abbiamo fatto la rapina. Troppa violenza? Era la nostra prima rapina». Verifiche in corso. Ma a far parte di quel branco c’erano con ogni probabilità anche due maggiorenni. Tutti residenti nel famigerato “Terzo Mondo”, la roccaforte del clan Di Lauro. Figli di “Gomorra”.

Cominciamo dalla fine. La Procura dei minori ha emesso due decreti di fermo a carico di altrettanti adolescenti ritenuti responsabili dei reati di rapine a ricettazione. Destinatari dei provvedimenti sono R.M e C.G., entrambi del 2004 e residenti nel cosiddetto «Rione dei Fiori». Il primo è figlio di un esponente della camorra di Secondigliano, coinvolto e condannato a dieci anni per camorra, nell’ambito della guerra scatenata dagli scissionisti contro il cartello della droga capeggiato da Paolo Di Lauro.

Drammatiche le fasi degli interrogatori, condotti dal sostituto della Procura minorile Nicola Ciccarelli. Già, perché quei bulli 17enni ripresi mentre accerchiano e picchiano la vittima (poi identificati dalla Squadra Mobile grazie ad alcuni filmati poi diffusi anche sui social) una volta portati in Questura scoppiano in lacrime. Messi alle strette, iniziano ad accusarsi a vicenda, coinvolgendo altri presunti complici.

«Gli stessi - si legge nel decreto di fermo del pm - dinanzi al video diventato virale riconoscevano se stessi e, comprendendo che il cerchio intorno a loro si stava stringendo, cominciavano a presentarsi in Questura per affermare le loro responsabilità».  

Ma non è tutto. Perché lo stesso pm, soffermandosi sulla posizione di R.M., sottolinea l’omertà del minore: il quale «pur limitandosi a confessare quel che ormai era innegabile, dichiarava di non conoscere i nomi dei suoi complici. Atteggiamento, il suo, per quanto ordinario diventato poi ridicolo allorquando il suo complice, C.G., in contemporanea lo smentiva facendo dichiarazioni alla Polizia poi confermate al magistrato».

Fine della storia. Ma è un finale solo parziale. Perché l’arco delle responsabilità sull’aggressione al rider Gianni Lanciato, accerchiato, aggredito a calci e pugni e poi derubato dello scooter con il quale cercava di guadagnarsi da vivere, non è affatto definito del tutto.

Mancano ancora alcuni tasselli per ricostruire il puzzle vergognoso composto dal branco della Calata Capodichino. E per completare il mosaico sono rimasti al lavoro per tutta la notte scorsa gli uomini della Mobile guidata da Alfredo Fabbrocini.

L’ultima novità è rappresentata dalla identificazione con relativo accompagnamento in Questura di altri due giovani: questa volta si tratta di maggiorenni. Anch’essi, stando alle indagini condotte dagli esperti della Polizia Scientifica di Napoli (che hanno passato al vaglio fotogramma su fotogramma dei video della violenza), coinvolti nella rapina. La loro posizione resta al vaglio degli inquirenti della Procura diretta da Giovanni Melillo.


Il numero degli indagati - tra coloro che hanno attivamente preso parte all’aggressione e alla rapina dello scooter ed eventuali fiancheggiatori o ricettatori - sale potenzialmente dunque da sei a otto. 
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Il Mattino