«È uno dei capi», dicono di lei i collaboratori di giustizia. «Quando manda una imbasciata il suo ordine viene eseguito immediatamente e ha una quota su...
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Il clan degli scissionisti incassa ancora due colpi: il carcere duro per la reggente, e l’arresto per un rampollo di famiglia. Il passaggio al più severo dei regimi detentivi è avvenuto a quattro mesi dall’arresto. Accolta la richiesta dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli (l’inchiesta è stata coordinata dai pm Vincenza Marra e Maurizio De Marco del pool guidato dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice). Troppo pericolosa, Rosaria Pagano per rimanere una detenuta comune. Troppo alta la possibilità che lei, la «zia Rosaria» delle intercettazioni e dei racconti degli ex affiliati, potesse dettare ordini anche dal carcere. Quello che è emerso dalle indagini, unito alle dichiarazioni di ex camorristi poi passati a collaborare con lo Stato, ha fatto emergere un ritratto di lei tale da rendere necessario un taglio netto con ogni suo possibile legame con il mondo esterno. Lo chiamano carcere duro, è il regime detentivo che prevede controlli elevati al massimo e possibilità di colloqui e contatti con l’esterno ridotti al minimo.
Vedova di un Amato, sorella di Cesare Pagano, «zia Rosaria» risulta legata filo doppio alla camorra. Ogni suo ordine veniva eseguito, ogni sua disposizione rispettata. «La zia Rosaria non strillava», ricordano gli ex affiliati. Al termine di ogni incontro con i fedelissimi del clan, capizona o capipiazza, si limitava a dire: «Ci siamo chiariti, non voglio sapere più niente». Non alzava la voce, ma sapeva farsi rispettare: chi andava ai suoi summit, ricorda un pentito, «non era mai sereno né quando andava né al ritorno».
Gli 007 dell’Antimafia hanno ricostruito l’ascesa di Rosaria Pagano all’interno del clan. Dopo la cattura del figlio Carmine a giugno 2011, la donna avrebbe assunto il ruolo di referente della famiglia Amato e per garantire continuità economica alla fazione, a partire dall’estate 2012 durante la faida interna, avrebbe imposto a Mario Riccio e altri capi dell’organizzazione una separazione pro-quota del mercato all’ingrosso della cocaina gestendo personalmente la quota che spettava alla famiglia Amato e i relativi proventi, e lasciando che la parte dei Pagano fosse gestita da Riccio. Di qui la sua scalata, in affari con Imperiale, nel mondo del narcotraffico: era lei, secondo gli inquirenti, a gestire e comandare, e a stabilire tempi, modalità, luoghi, prezzi e quantità della cocaina da acquistare e importare dall’estero in Italia per distribuirla tra i vari gruppi criminali. Dal 2014 poi, con l’arresto di Mario Riccio, il suo ruolo sarebbe diventato quello di «capo unico» del cartello Amato-Pagano e di socio, nell’interesse sia degli Amato sia dei Pagano, nei più importanti investimenti dell’organizzazione.
Da ieri un rampollo della famiglia, di appena 17 anni, è in carcere, sottoposto a fermo, sospettato di aver avuto un ruolo in un duplice omicidio avvenuto il 20 giugno del 2016 a Melito. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino