Napoli, Far West ai Pellegrini: «Baby boss in ospedale, si spara come nei vicoli»

Napoli, Far West ai Pellegrini: «Baby boss in ospedale, si spara come nei vicoli»
Scena numero uno: Giuseppe Iaselli, 19 anni, trasporta sullo scooter Vincenzo Rossi, percorrendo via De Cesare controsenso: ha una mano al volante, nell'altra impugna la...

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Scena numero uno: Giuseppe Iaselli, 19 anni, trasporta sullo scooter Vincenzo Rossi, percorrendo via De Cesare controsenso: ha una mano al volante, nell'altra impugna la pistola. Pochi attimi dopo, una volta arrivati in piazzetta Serao, fa scendere il passeggero e lo gambizza.


Scena numero due: Vincenzo D'Avino (22 anni) e Arturo Picco (30 anni) sono in vico Tre regine, dove provano a piazzare un foglio bianco sulla targa dello scooter, non ci riescono e strappano la targa a calci. Poi raggiungono il Vecchio Pellegrini, dove D'Avino spara ad altezza d'uomo. Prova ad uccidere tale Umberto Ioio, ma non ci riesce.
 
Scene pulp, frames di violenza gratuita, al momento senza moventi chiari, consumate intorno alle due di notte, dello scorso 17 maggio, a ridosso di via Toledo. Siamo nel pieno del maggio napoletano, il mese del turismo porte aperte, nella città che si specchia in Caravaggio e Canova, ma che vive giorni di apnea per le sorti della piccola Noemi, la bimba ferita in piazza Nazionale (oggi miracolosamente fuori pericolo). Due sparatorie, feriti e tanta paura. Proviamo a capire cosa è accaduto la notte in cui un giovane armato di pistola ha sparato contro una decina di persone in attesa al Pronto soccorso del Vecchio Pellegrini.

Dunque, sono tre a finire in manette: Giuseppe Iaselli, ritenuto responsabile del ferimento di Vincenzo Rossi, in piazzetta Serao. È lui - dicono gli inquirenti - che guida lo scooter in via De Cesare, impugnando la pistola, per poi regolare i conti con il passeggero, probabilmente per apprezzamenti poco galanti fatti alla fidanzata.

Ma finiscono in cella anche Vincenzo D'Avino, ritenuto responsabile degli spari al Pronto soccorso del Vecchio Pellegrini; e il suo presunto complice, il trentenne Arturo Picco. D'Avino e Picco (difesi rispettivamente dagli avvocati Leopoldo Perone e Giuseppe De Gregorio) sono accusati di tentati omicidi plurimi, aggravati dal fine mafioso; mentre Giuseppe Iaselli (difeso dall'avvocato Salvatore Rotondo) deve rispondere di lesioni aggravate dal fine mafioso. Cosa accadde quella notte?

Due episodi accaduti a distanza di pochi minuti, con i soccorritori del primo ferito, che diventano killer o vittime, a seconda dei punti di vista, del secondo episodio. Indagini dei pm Carrano e Mozzillo, sotto il coordinamento dell'aggiunto Giuseppe Borrelli, decisive le immagini delle telecamere. C'è una nota di amarezza, che spinge il gip Maria Laura Ciollaro a scrivere che non c'è alcuna differenza tra un vicolo e un ospedale, per chi ha una pistola in pugno e deve commettere un agguato di camorra. «Quella notte - aggiunge il gip - per mettere a segno il raid in ospedale, Picco e D'Avino si infilarono dei pantaloni lunghi bianchi, sopra quelli indossati, e con casco integrale e spolverino lungo nero, dopo avere tolto la targa al motorino, arrivano nel pronto soccorso dove D'Avino sparò contro i soccorritori della giovane vittima, incuranti - scrive ancora il gip - della presenza del presidio armato della vigilanza privata, evocando la forza di intimidazione e il dominio tipico delle organizzazioni mafiose».

Non è chiaro quale fosse il movente dell'agguato, probabili contrasti interni allo stesso gruppo, quello dei Saltalamacchia. E lo dimostra il fatto che, tra i presenti al Pronto soccorso, ci fosse anche Nunzio Saltalamacchia, tra i boss emergenti in zona Quartieri Spagnoli, oltre a Umberto Ioio (presunto target degli spari) Luigi Cristiani e Ciro Mazzaro (ovviamente si tratta di parti offese, quindi estranei alle accuse). Sentito dagli inquirenti, lo stesso Saltalamacchia non ha saputo sciogliere il nodo: «Non so perché abbia sparato contro di noi, penso che volesse cercare me, in quanto sono un Saltalamacchia». Stando ad alcune intercettazioni, il presunto boss emergente avrebbe poi incontrato l'attentatore pochi giorni dopo, chiedendogli anche il motivo di una simile rappresaglia armata: «Tre quattro giorni dopo, ho rivisto Vincenzo D'Avino a vico San Matteo, chiedendogli come mai la notte del 17, all'interno dell'ospedale mi avevano sparato. E lui mi ha risposto che qualcosa hai fatto...».


Agguati, sangue e paura nelle vie del turismo, merita attenzione anche il primo episodio criminale, quello meno eclatante (si fa per dire), consumato a due passi da via Toledo, nella piazzetta che un tempo ospitava redazioni di giornali e uffici di corrispondenza delle testate più importanti. Stando alle intercettazioni, Iaselli dopo aver «punito» il passeggero, ferendolo alle gambe, sarebbe andato a mangiare cornetti con la fidanzata. E non è tutto. Poche settimane dopo, Iaselli viene intercettato al telefono con la madre, alla quale confida di «aver fatto una stronzata...». Estate 2019, il pistolero però ha un solo vero problema, quello di andare al mare: «Chiedi i soldi a tuo padre», gli consiglia la madre al telefono, ricevendo una risposta poco edificante per tutti: «Non parlo con lui, pure finisce che devo andare a fare le rapine...». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino