Napoli, da ieri, è una «città di pace e di giustizia». Lo ha stabilito il consiglio comunale, approvando una delibera che inserisce nello statuto la...
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La pace declamata e la violenza non condannata rischiano così di confondersi nell’ennesimo paradosso. Un paradosso che certamente sfuggirà alla maggioranza che guida la città, impegnata com’è a disegnare virtuosi percorsi rivoluzionari. D’altra parte, il consiglio comunale di Napoli notoriamente ha sede sulla luna, e ci ha abituati da tempo a esercitarsi sui principi generali dell’universo anziché occuparsi dei problemi concreti, quelli che toccano la carne viva e i nervi scoperti dei cittadini.
Un autentico capolavoro, quello consegnato ieri agli annali: un capolavoro di etica e di politica. I principi scolpiti con inchiostro indelebile nello statuto cittadino - peace and love - sono stati contraddetti in tempo reale dallo schiaffo assestato in pieno viso agli agenti che a Fuorigrotta prendevano le mazzate per garantire al leader della Lega il diritto di parola.
Ma il vero punto non è la pace: questa fa parte, di certo non da ieri, del patrimonio genetico della città. Il punto è che, oltre gli slogan, c’è il vuoto. E quasi mancano le parole per descrivere quanto lunare, marziano, ma soprattutto distante dalla città sia un consiglio comunale che trova il tempo per occuparsi dell’universo mondo ma non dei problemi dei cittadini, dalla vergogna del trasporto pubblico allo scandalo del welfare negato ai disabili, per fare solo due esempi. Da quando si è riunito, il consiglio comunale ha affrontato molte questioni di principio. Ben vengano, a patto che non diventino la foglia di fico per nascondere l’inconcludenza dell’azione amministrativa. Quando sarà il momento di stringere sui nodi veri della città, di recuperare l’agenda dei programmi, dei progetti, delle cose da fare?
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