Napule ca se ne va, Annalisa Mignogna: «Noi, ultimi rilegatori pronti per il futuro»

Napule ca se ne va, Annalisa Mignogna: «Noi, ultimi rilegatori pronti per il futuro»
Palazzo Marigliano è teatro di storia: costruito tra il 1512 e il 1513 su commissione di Bartolomeo di Capua, principe di Riccia e conte di Altavilla; progettato da...

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Palazzo Marigliano è teatro di storia: costruito tra il 1512 e il 1513 su commissione di Bartolomeo di Capua, principe di Riccia e conte di Altavilla; progettato da Giovanni Francesco Mormando come pregevole esempio di architettura rinascimentale napoletana; sede di congiure come quella di Macchia del 1701, con cui la nobiltà napoletana tentò senza successo di rovesciare il governo vicereale spagnolo, durante la crisi successoria che si verificò in seguito alla morte di Carlo II di Spagna con l'estinzione del ramo spagnolo degli Asburgo; ha visto passare nel secondo Novecento la meglio gioventù partenopea: Antonio Neiwiller, Fabrizia Ramondino (con l'Associazione Riveglio Napoli), le tribù post-punk (attratte dal Riot e le sue serate di drink e musica: memorabile, tra i tanti, un concerto di Nico). 

Oggi gran parte del piano terra di Palazzo Marigliano, in via San Biagio dei Librai, è occupato dalla Legatoria Artigiana di Annalisa Mignogna. Settant'anni, napoletana doc, assieme a una nutrita squadra di artigiani preserva tecniche secolari. Nelle stanze, separate dal cortile da grandi vetrate trasparenti, si usano macchinari antichissimi. «Studiavo Lettere classiche. Seguii un corso di legatoria e cartonage a Este. Dopo la laurea, costruii un piccolo laboratorio in casa; mio padre mi mandò al Colosimo dove c'era un ottimo laboratorio di legatoria, impagliatura di sedie, tessitura. Questo prima del terremoto», racconta la Mignogna. «Con Eddy di Castri, amico avvocato che voleva ricalcare le orme del padre editore, e Roberta Pasquini ci mettemmo a cercare una legatoria. Il principe Francesco D'Avalos ci portò dal maestro Eliseo». Michele Eliseo fu l'ultimo di una famiglia di rilegatori di tre generazioni che aveva iniziato verso fine 800 nel centro antico. Prima a piazza del Gesù, poi a Calata Trinità Maggiore: «Quando lo conobbi aveva più di 80 anni. Iniziai ad andare a bottega da lui tutti i giorni. Decidemmo di rilevare l'attività che nel 1982 rischiava di chiudere. Stavano per vendere tutto tramite Enzo Tortora e Portobello»: presse, taglierine a mano, torchi, punzoni per la doratura di inizio 900 acquistati a Parigi dal maestro. 

Nel tempo si sono aggiunti Luigi Perez, Giovanni Bizzarro, Pina Mango, restauratrice figlia di Don Salvatore, maestro collega di Eliseo, e le «nuove leve» Roberta e Gennaro D'Angelo che hanno iniziato da ragazzini e ora hanno 40 anni. Pian piano si è formato un gruppo che per un periodo la signora Mignogna è stata amministratrice della clinica Ruesch - ha gestito la legatoria in autonomia: «Poi ci siamo rimessi insieme. Oggi siamo in sette, tanti per una bottega artigiana. Ogni volta che sembra che il peggio sia passato, succede sempre qualcosa. Ma ci rinnoviamo: la varietà dei prodotti è ampia, avevamo iniziato a diversificarli già negli anni '90». 

Dal 2011 la legatoria si è trasferita a Palazzo Marigliano. Libri, ma non solo: restauro di testi dal 500 in poi, rilegature ma anche oggettistica in cartonage: «Usiamo carte marmorizzate che facciamo noi o quelle del maestro Flavio Aquilina che scovai anni fa: le sue carte si vendevano a Parigi e non si trovavano a Napoli. Oppure stoffe di Wiliam Morris, che a metà 800 ha aperto il Victoria and Albert Museum a Londra. La clientela è ampia. Si lavora per aziende, privati e istituzioni. Così capita che Giovanni, storico doratore, passi dalla copertina di un libro di epoca borbonica alle iniziali su un portafogli. La professione è lunga quando si semina molto. Questo me l'ha insegnato mio padre ortopedico. Abbiamo clienti che tornano dopo anni. In questo modo siamo riusciti a conservare il mestiere e le tecniche», continua Mignogna: «Molti si sono buttati sul guadagno, noi ci siamo impegnati a conservare un'arte». Magari creando una scuola? «Non ci pensiamo proprio. Per ora stiamo cercando di sopravvivere. I giovani che possono continuare tra noi ci sono. Quello che ci interessa è mantenere le professionalità. Non credo nella scuola ma nella formazione a bottega. L'artigianato non è un hobby. Ci si deve impegnare dalla mattina alla sera», conclude. 

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Il Mattino