La paura già corre veloce. A dare la scossa è bastata la notizia della cattura di Marco Di Lauro, sabato pomeriggio: e adesso sono in molti a tremare, tra...
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I RISCONTRI
Al lavoro ci sono già i magistrati della Procura. Un pool di esperti - con in prima linea l’aggiunto che coordina la Direzione distrettuale antimafia partenopea, Giuseppe Borrelli, affiancato dai sostituti Maurizio De Marco e Vincenzo Marra - sotto la supervisione del procuratore Giovanni Melillo. Verifiche e approfondimenti di polizia e carabinieri confluiranno prestissimo in una prima, più che probabile informativa che fornirà il quadro investigativo. In buona sostanza si tratta di «mettere a sistema» tutta la mole di lavoro sviluppata in questi 14 anni di latitanza dalla task force di agenti e militari impegnati nella caccia al boss con gli ultimi dati acquisiti in queste ultimissime ore.
LE TECNICHE
Dati ufficiali non sono stati mai forniti: ma è presumibile che fosse molto larga la cerchia dei soggetti «attenzionati». Almeno un centinaio (ma il dato è sicuramente approssimato per difetto) le persone che dal giorno in cui Marco si rese uccel di bosco, sottraendosi al blitz che portò in carcere nel 2004 capi e affiliati alla cosca, sono state sottoposte a intercettazioni telefoniche e ambientali, a pedinamenti e controlli costanti. Naturalmente in questo lungo lasso di tempo in questa rete di verifiche e controlli non sono finiti soltanto i più stretti congiunti della primula rossa di Secondigliano. Tantissimi pregiudicati e affiliati al clan egemone nel cosiddetto «Terzo Mondo» sono stati ascoltati nelle loro conversazioni; decine di abitazioni - tra Napoli e provincia - sono state oggetto di appostamenti diurni e notturni. Tra questi c’era sicuramente lo stesso Salvatore Tamburrino, il 40enne ex sorvegliato speciale legato ai Di Lauro e autore dell’uxoricidio consumatosi a Melito solo poche ore prima della cattura di Marco. Proprio in seguito a quel tragico fatto di sangue sarebbe arrivata - improvvisa e inaspettata - la svolta fatale per il boss: perché poco dopo, come ha confermato ieri lo stesso questore di Napoli, si è scatenato un vortice di contatti anche telefonici che, alla fine, hanno portato al blitz e all’arresto. L’occhio attento degli inquirenti si è soffermato - come sempre avviene in questi casi - persino su alcuni medici e infermieri, nella speranza di poter intercettare un elemento utile alla identificazione del ricercato.
IL SEQUESTRO
Di certo dal materiale sequestrato nell’abitazione di via Emilio Scaglione potrebbero giungere nuove, preziose notizie. «Ogni latitanza costa - sussurra un investigatore da sempre in prima linea nella lotta ai clan - e chi riesce a diventare un “fantasma” per tutto questo tempo ha dovuto contare inevitabilmente su tanti aiuti». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino