In uno dei suoi film più belli, «Dogville», il regista danese Lars Von Trier ambienta le vicende dei suoi personaggi in una città ricostruita...
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Era già successo nel luglio del 2016 con la sfilata di Dolce&Gabbana: stessa via cittadina, stessa questione. C'era il pazzariello, la pizza, la tombola, Pulcinella, le modelle che indossavano copricapi a forma di teca con il sangue di San Gennaro. E c'era una città divisa tra critici ed entusiasti, tra chi contestava l'uso di spazi pubblici per un evento privato e commerciale e chi difendeva la scelta di concedere ai due stilisti una parte importante della città perché così ci sarebbe stato un ritorno di immagine di Napoli nel mondo. Proprio come accade in «Dogville», sembra insomma che a san Gregorio Armeno qualcuno abbia divelto i muri, livellato la strada, smantellato i palazzi lasciando confini indefiniti, tracciando intorno ai limiti delle vie, negli spazi tra un palazzo e l'altro, un'unica, enorme scritta col gesso che la percorre da cima a fondo: Napoletanità. Parola-mostro, parola-totem. E ogni sostituzione anche piccola, anche legata solo a un quartiere, a una singola strada che passivamente lasciamo fare a industrie o aziende capaci di plasmare con grande forza pezzi di immaginario (e sia l'industria della moda che quella degli audiovisivi sono capaci di farlo con una inimmaginabile potenza di fuoco), ogni piccolo tassello spostato da qui a lì è un passo decisivo verso la legittimazione intellettuale e ideologica dello stato di fatto da cui si torna indietro con gran difficoltà.
L'isteria del successo o dell'immediato ritorno economico o di immagine non può costituire l'unico tessuto con il quale avvolgiamo una storia lunghissima e complessa. Il pericolo che si corre è quello di tornare ad assecondare - passando dalla politica alla comunicazione - un modello di potere al quale la città è stata da sempre, o quasi, esposta: quello del vicereame, in cui gli ordini partono da fuori, da lontano, senza mai violare o disturbare il diritto al particolare, a patto che questo stia ben confitto nel suo piccolo recinto, separato dagli spazi dove i racconti sull'identità della città servono invece a costruire un progetto di trasformazione e soprattutto di crescita coerente. Voi continuate così, non vi disturbiamo, sembra essere il messaggio: continuate a essere allegri, imprevedibili, vitali, dalla battuta pronta, secondo i più quotati dei luoghi comuni che soffocano la città. Noi vi portiamo due soldi, molta diffusione sui social, moltissima visibilità nella vetrina del mondo. Ma che cosa ci trattiene dal pensare che così rischiamo sempre di più di fare in modo che questa città appartenga a tutti tranne che a chi la abita?
P.S. I cinesi hanno costretto Dolce&Gabbana a pubbliche scuse dopo la trasmissione di uno spot della casa di moda infarcito di luoghi comuni sulla cultura orientale. Come noi eravamo tutti pizza e mandolino, lì c'era un tripudio di bacchette e lanterne rosse. Prendere appunti per il futuro. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino