«Storia della canzone più famosa del mondo», spiegava il sottotitolo di O sole mio, il libro di Paquito del Bosco sul classico dei classici napoletani, uscito...
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Ora grazie agli studi di Aldo Massa, appassionato ricercatore di storie sorrentine e napoletane, si può sostenere che la canzone è stata composta, o quantomeno eseguita per la prima volta a Mosca, e non a Odessa, fra il febbraio ed il maggio del 1898.
Dal catalogo biografico dei compositori italiani stampati nella capitale sovietica nel 1969, autore M. Mirkin, si può leggere (a pag. 91): «Capua Edoardo (1872 Napoli1917 Napoli), compositore italiano, autore canzoni napoletane, più famosa O sole mio, creata in anno 1898 durante una tournée, opera italiana a Mosca».
Inoltre attraverso un'attenta indagine della ricercatrice Ilgner Vladilena, nella Biblioteca Scientifica di Stato di Odessa sui numeri dal gennaio al dicembre 1898 nel giornale «Notizie di Odessa» non vi è nessuna notizia della presenza del complesso musicale di Di Capua, Lo scoglio di Frisio. Per il nipote di Eduardo Di Capua, Luigi, la nascita russa del capolavoro sarebbe una deduzione di eventi, date e circostanze, leggendo, anche, il passaporto n. 1304, richiesto il 2 dicembre 1897 e rilasciato dalla questura di Napoli il 9 successivo, comprovante la partenza per Mosca del musicista. Secondo notizie di famiglia, inoltre, sarebbe certo che il poeta socialista Giovanni Capurro avrebbe consegnato all'amico compositore i suoi versi prima che partisse per la Russia.
Sembrerebbe accertato che, nei primi quindici giorni di dicembre del 1897, Eduardo Di Capua, sia giunto a Mosca «a capo di una compagnia di bravi cantanti napoletani, accolto con entusiasmo indescrivibile», al Theatres Fard. E, in una speciale serata, su richiesta e suggerimento dei giornalisti locali, fu organizzato un programma particolare per ascoltare una eccezionale serie di canzoni napoletane: in questa occasione sarebbe stata cantata, per la prima volta, «O sole mio».
Quel che è certo è che, se rimane sconosciuta la voce di quel primo esecutore, a rendere immortale il pezzo sono stati Enrico Caruso (un'esecuzione perfetta, al primo tentativo, registrata a Camden, New Jersey, il 5 febbraio 1916) ed Elvis Presley (che ne vendette venti milioni di copie presentandola al mondo come «It's now or never»: l'italo-americano Tony Martin nel 1949 l'aveva già tradotta e tradita in «There's no tomorrow», testo di Al Hoffman, Leo Corday e Leon Carr, il re del rock la fece sua, con l'apporto dei Jordanaires, il 3 aprile 1960, dopo aver affidato la revisione delle liriche in inglese a Aaron Schroeder e Wally Gold). L'hanno cantata tutti i cantanti napoletani, tutti i tenori, tutti i baritoni, tutte le soprano, ma anche papa Wojtyla, Jiang Zemin, Bruce Springsteen, i Pearl Jam, Hugo Chavez, il primo uomo nello spazio Jurij Gagarin, Josephine Baker, Ray Charles, Paul McCartney, Roberto Murolo, Beniamino Gigli, Frank Sinatra, Nilla Pizzi (in versione rock!), Papa Ricky (in versione reggae salentino), Robertino (due milioni di copie vendute in Unione Sovietica), Solomon Burke (la sua «'O soul mio» è ancora inedita), Pino Daniele, Dalida, Nini Rosso, Lou Monte, Santo & Johnny, Mina... Cara a Sandro Penna e Marcel Proust, fu suonata a Nuova Delhi dalle 40 orchestre riunite all'incoronazione di Giorgio V d'Inghilterra e all'inaugurazione delle prime Olimpiadi di Anversa (1920) da una banda che non aveva lo spartito della marcia reale italiana. Insomma, il vero inno italiano, assieme alla «Volare» di Modugno, sarebbe nato a Mosca.
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Il Mattino