Pasqua a Napoli, il vescovo don Mimmo Battaglia al campo rom: «Situazione disumana»

Lavanda dei piedi ai bimbi che vivono nella baraccopoli di Scampia: «Vedere la sofferenza è un dovere di tutti»

Il vescovo Battaglia a Scampia
Un appello alle coscienze. Ma anche la volontà di accendere la luce sul cono d’ombra che inghiotte il campo rom di Scampia ed i suoi 420 abitanti, assediati...

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Un appello alle coscienze. Ma anche la volontà di accendere la luce sul cono d’ombra che inghiotte il campo rom di Scampia ed i suoi 420 abitanti, assediati dall’immondizia scaricata clandestinamente nell’area di Cupa Perillo da chi avvelena, così, la terra e le persone inchiodate nelle loro baracche senza luce ed acqua. 

Domenico Battaglia, vescovo di Napoli, celebra per la prima volta davanti ad una discarica, scegliendo di rompere la ritualità del tempo pasquale con “una provocazione ed una riflessione”. L’altare è da da campo, allestito nel cortile di una casetta di legno e compensato che si è trasformata in sacrestia, le sedie in plastica traballano sul suolo sconnesso. Ministranti tre fratellini, Veronica, Cristina e Riccardo che nella baracca, messa su negli anni una stanza dopo l’altra, vivono. Altri dodici bambini, seduti ai bordi di uno scenario di rifiuti abbandonati qui dall’”altra” città , si preparano alla lavanda dei piedi, il gesto che Battaglia ripeterà in memoria di quello compiuto da Cristo la sera dell’istituzione dell’Eucarestia. 

Una scelta degli ultimi, la sua, ma anche la volontà, come dice il padre gesuita Eraldo Cacchione, responsabile della pastorale Rom di Scampia, di attirare lo sguardo su una realtà dimenticata, scartata, ai bordi della società civile. Le parole di Battaglia, davanti a tanti ospiti esterni e a moltissimi residenti che, via via, si fanno più numerosi dopo la prima diffidenza per la novità, sono nette e senza equivoci. «I giornalisti, vi prego, non riprendano me. Alzate gli occhi su quello che c’è attorno e raccontatelo. Quello che vedete qui è disumano, letteralmente disumano. Non è ammissibile che questi ragazzi che hanno diritto di esistere, di essere riconosciuti, giochino con i topi. Non è ammissibile che non ci siano luce ed acqua».

Venti giorni prima, racconta, aveva avuto il suo primo impatto con il campo, la sua gente, la sua ospitalità generosa, il suo durissimo disagio. Oggi è tornato a dire che no, un cristiano non può celebrare la Pasqua della Resurrezione se gira la testa altrove davanti all’ingiustizia sugli uomini e all’avvelenamento della terra. Risorgere è alzarsi, spiega, e ognuno di noi è chiamato ad alzarsi e a tenere «la schiena diritta». Lo ripete cinque volte: «Tenere la schiena diritta». Schiena che, rimprovera, tante volte si china alla logica dei diritti che diventano «favori, elemosine». 

Il vescovo, qui detto direttamente don Mimmo, è venuto a fare una scelta di campo davanti a tutto il gregge della città di Napoli: «Scegliere l’umano contro tutto ciò che è disumano. Alzando la voce. Avendo anche il coraggio di morire per il sogno di giustizia di Cristo».

Alla fine della celebrazione una processione si snoda nella discarica, dietro al Crocifisso, è anche questa è una prima volta. Tutti insieme, i padri Gesuiti della Rettoria di Santa Maria della Speranza, il decano dei sacerdoti don Alessandro, le suore della Provvidenza, i Fratelli delle Scuole Cristiane, l’associazione Arrevotamoce, la seguono. Gente che qui vive e tesse rapporti (e sono un po’ zingari anche loro, come dice Ricky che promuove “zingaro” anche il Vescovo). Come una lista lunghissima di volontari ed operatori pastorali che è impossibile ricordare tutta ma che ha prodotto anche l’altissima scolarizzazione di questi bimbi. (Lo ricorda il presidente della Municipalità Scampia Nicola Nardella).

Ci sono loro, i nomadi inchiodati sotto il ponte di Cupa Perillo, alibi vivente di una comunità oggi richiamata al riconoscimento dei diritti di tutti ad esistere. Immagine di quel che il vescovo intende è Simone, volontario, che spinge dietro la Croce la carrozzina di Valentino, rom. Un sogno comune, la Resurrezione. Con coraggio e schiena diritta.

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Il Mattino