Provate: poche righe e siete risucchiati nella pagina, trascinati nel mezzo dei commerci multietnici di Porta Nolana, raggiunti dalle zaffate di olio fritto dell’Anticaglia,...
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Soprattutto i luoghi che abitiamo, che crediamo di conoscere, meritano conoscenza, comprensione. Perché possa esserci amore.Questo libro e questa scrittura hanno una storia nata nella redazione del Mattino: l'idea di affidare a un cronista rabdomantico un insieme di reportage sui quartieri della città. Via via i reportage sono cresciuti, sono diventati materia narrativa complessa, pezzi letterari capaci di portare il lettore nel fuoco della città. L'osservazione del reale si è dilatata diventando sentimento dei processi in atto, dei luoghi e delle persone. Da cui lasciar germinare storie significanti, raccolte e accolte da Treccagnoli con attenzione e rispetto per l'umano, senza attitudine giudicante.Così ai luoghi si sono impigliate le «voci di una città senza tempo» richiamate nel sottotitolo. Specialmente quelle degli «ultimi, i disperati, gli invisibili». Gli ucraini della Sanità, i cingalesi del Cavone, gli africani della Ferrovia, i cinesi di Gianturco. I nuovi diseredati cui null'altro rimane se non la lotta per salvare non l'anima o l'onore o la libertà ma, come direbbe Malaparte, la «schifosa pelle». E la pelle di Napoli qui si mostra come «lo schermo dove tutto il bene e tutto il male si riflettono», cangiante come il paesaggio umano di una città in moto perpetuo dove i femminielli fraternizzano con le puttane maghrebine ossigenate. Dove i rifiuti conoscono infiniti corsi e ricorsi grazie ai rom insinuati nei cassonetti per estrarne oggetti poi venduti nei mercatini dei poverissimi.L'occhio penetra oltre i dettagli, scova i residui del passato, i cambiamenti che increspano la pelle della città in mutazioni ancora in fieri.
Lo sguardo mobile, mai fermo sulla superficie delle cose, coglie la nostalgia per il contrabbando e per l'economia delle «bionde» di una vecchia al Pallonetto. Scopre la solitudine preziosa del barbone ricoverato in una caverna sul Monte Echia con i libri di Freud su una mensola infilata nel tufo. Dettagli di un documentarismo narrativo arricchito dai rimandi alla grande letteratura di e su Napoli, qui tutta mobilitata e chiamata a confrontare le visioni di ieri con le nuove realtà da interrogare.La scrittura è un vero punto di forza. È personalissima e del tutto originale per il ricorso a espressioni gergali in lingua napoletana fitte come ricami intrecciati al filo narrativo principale. Questo conferisce energia alla pagina introducendovi, in funzione di alleggerimento o a volte d'ironico controcanto, parole di uso comune o altre meno note: come la «scaienza», che sta per sfortuna, disgrazia, ma anche spreco, o le «céveze», le gelse, street food un tempo venduto in coppetti di carta di giornale.
Poi, dappertutto, le «zelle». In italiano «zone di alopecia, dove i capelli sono più radi». Le «zelle» dilagano nella prosa di Treccagnoli fino a comporre una sorta di poetica rovesciata. Sono le buche delle strade dilatate in fossi, i palazzi secenteschi scrostati, gli arbusti aggrovigliati ai cumuli di rifiuti abbandonati in strada, i vetri rotti sostituiti dalle plastiche. E sono i cattivi pensieri, le incurie private, le inadempienze pubbliche. Sono metafora del lazzaronismo postmoderno di una città di bellezza abbagliante, tradita da diavoli-abitanti e da angeli fittizi. Alla fine l'autore scrive: «piace pensare che la bellezza salverà Napoli». Come a dire, piacerebbe, ma poi chissà come andrà. Dipende da noi.«La pelle di Napoli» sarà presentato oggi alle 18 alla Feltrinelli dal direttore del Mattino Alessandro Barbano, dal presidente dell'Autorità anticorruzione Raffaele Cantone e dal presidente dell'Ordine regionale dei giornalisti Ottavio Lucarelli. Martedì 31 alle 18 verrà presentato al Vomero alla libreria Iocisto. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino